Cronache

il derby dei lettori

2ANCORA SUL TORINO
Socrate scende in campo

per difendere i rossoblù
Caro Massimiliano, quello che è accaduto dopo l’incontro tra Genoa e Torino non è stato molto edificante da parte dei giocatori granata. I genoani si sono dovuti difendere da tale comportamento aggressivo dei giocatori avversari.
Seguendo la vicenda mi è ritornato alla mente il racconto di Socrate al rientro dei soldati dalla battaglia di Potidea. Questo racconto era stato commentato proprio sul Giornale da Ezio Savino.
Forse il paragone potrebbe sembrare alquanto esagerato, ma una qualche affinità c’è su quanto ebbe a dire Socrate verso il rude ufficiale Trasibulo dopo che battaglia era finita da settimane, al nord della fortezza di Potidea. Riportavano a casa le ceneri dei caduti, dei feriti e dei superstiti. La città era in guerra con Sparta da anni. Ed era in ginocchio. Tra i colpiti c’era la recluta Kroisos. Una mazza spartana gli aveva aperto l’elmo come un melone marcio. Il trauma l’aveva lasciato simile ad un tronco d’albero. I suoi compagni facevano di tutto per tenerlo in vita. L’arteria del suo collo pulsava. Fioca ma pulsava. Trasibulo comandante del reparto aveva dato l’ordine. Basta mantenerlo. Il ragazzo era ormai un peso morto. Andasse all’Ade, dagli antenati o dove diavolo andava l’anima di un soldato. Se pure c’era un’anima.
Gli spartani l’avrebbero già lasciato ai corvi. «Ma noi non siamo spartani», era la voce tranquilla di un civile, seduto sui gradini del portico. Corpulento, quasi calvo. Grandi occhi indagatori. Socrate, mormorò la folla. «Tu sai tutto della vita e della morte. Non è così amico mio?». Ora il filosofo apostrofava direttamente l’uomo. «L’ho vista mille volte in faccia, sul campo», rispose il militare sulla difensiva. «Hai detto bene» replicò Socrate alzandosi. «Hai visto tante forme. Ma la morte in se, la sua sostanza, dimmi Trasibulo, l’hai mai vista?». «So cos’è la vita», cambiò discorso imbarazzato, il comandante. «È quando hai coscienza, hai volontà. O dura finché provi piacere, a tracannare un boccale, ad abbracciare una donna. O senti dolore perché perdi un compagno di schiera, o una battaglia».
Dal pubblico si alzò un mormorio di approvazione. «Coscienza e volontà». Ripetè come un eco il filosofo, ma con una vena di ironia nella voce. «Mi sembri sicuro di conoscerle, queste due cose. Esaminiamole, allora ti va?». «E perché no» rispose il soldato appoggiando lo scudo al platano. «La coscienza Trasibulo, è coscienza di nulla, come quando dormi un anno profondo senza sogni ed emozioni o di qualcosa?».
«Di qualcosa» rispose l’uomo? «Puoi essere più preciso?» Incalzò Socrate. «Qualcosa di finito, o di infinito. Come quando calcoli i numeri. Pensi a una cifra enorme, ma se aggiungi al conto aumenta. All’infinito. È così, o no?». «Certo» ammise l’interlocutore. «E le gocce salate nel mare, le stelle in cielo, i granelli di polvere». «Infiniti anche quelli» mormorò Trasibulo. «E tu pensi di abbracciare tutto questo con la mente?». Domandò Socrate. «Certo che no». Fu la risposta obbligata. «La coscienza, contiene tutto ciò che abbiamo detto ne è più grande o più piccola?». «Più grande», rispose l’uomo. «Bada di non cadere in contraddizione amico», rispose Socrate. «Tu dici di non comprendere il più piccolo ma di afferrare il più grande. Mi pare un controsenso. La verità amico mio e che della coscienza tu sai poco o niente. La volontà adesso», riprese Socrate. «Rispondi volontà si può definire come il rifiutare qualcosa? Come quando un nemico ti propone una resa disonerevole?». «Sì» esclamò Trasibulo, che si sentiva più a suo agio con argomenti che riguardavano il mestiere delle armi. «Quindi come logica conseguenza anche di accettare qualcosa?». Aggiunse il maestro. «Come no» rispose controvoglia l’improvvisato allievo. «Dimmi Trasibulo, Kroisos qui. Accetta o no il cibo e il bere che i tuoi compagni opliti gli preparano?». «Lo accetta», rispose l’ufficiale. «E accetta anche l’aria che gli entra nel petto dalle narici e dalla bocca». «Sì», «Dunque ha una volontà» concluse Socrate. «L’hai detto tu. Passiamo adesso al piacere e al dolore, che secondo te sono le basi della vita. Sei ben sicuro di conoscere queste realtà? Di sapere che cosa sia l’uno o che cosa sia l’altro?». «Senza il minimo dubbio» azzardò Trasibulo. «Piacere è guidare una squadra all’assalto, e far baldoria la notte della vittoria», spiega il soldato. «Su rispondi», lo interruppe il filosofo, «Quando un gruppo di persone ascolta rapite le parole di un poeta, prova piacere? O quando degli intenditori d’arte ammirano i quadri di grandi pittori? Passiamo al dolore. Vedi Trasibulo quel bimbo in braccio alla madre che piange. Lui prova dolore reagisce piangendo e la madre cerca di consolarlo». «Ammettiamolo, Socrate», bofonchiò Trasibulo che era un uomo leale. «Ora dimmi incalzò il filosofo, quando sul terreno di battaglia dai un ordine. Attaccare! Ritirata! Aggirare l’ala nemica! E altre manovre del genere... Lo fai dopo aver calcolato bene tutto, da esperto che sa, o da ignorante che non sa?». «Da esperto Socrate! Tengo conto di tutto della forza del vento, della luce del sole, della direzione in cui si alzerà la polvere».
Il dialogo continuò ancora con qualche massima, ma non cambiava la sostanza di ciò che è stato il comportamento della squadra del Genoa contro il Torino e cioè di avere la coscienza a posto.
Maresciallo Salvatore Careddu
2LA SCONFITTA CHE SCOTTA
Bisogna imparare

l’arte di saper perdere
Carissimo direttore, il Giornale, nella sua edizione del lunedì, parla, ampiamente dei fatti calcistici e pubblica anche (pagine «curva...») i commenti di ogni partita, vista da «destra» e da «sinistra», cioè da un giornalista-tifoso per parte. È normale che ciascuno «tiri l’acqua al proprio mulino», ma vi è chi, spesso, esagera si lascia andare ad affermazioni e commenti molto cattivi contro la parte avversa. Leggendo l’articolo piuttosto velenoso del signor Felice Manti che evidentemente, sotto il bruciore in parte delicata dei gol di Milito, spara a raffica sul Genoa e sui suoi giocatori. Tira in ballo la vecchia storia della famigerata valigetta (il Genoa ha pagato con la serie C). Quanti altri hanno «comperato» partite e se la sono cavata? Maligna l’insinuazione della crostata che il Genoa avrebbe consumato all’ombra delle due torri di Bologna, per far vincere la squadra locale. Cattiveria per cattiveria, allora chiedo al signore Manti quanti «cannoli» ha portato a Napoli il Catania per salvarvi? E così via.
Ma secondo lui, il Genoa (dato il gemellaggio) doveva perdere, ieri a Torino per dargli «ossigeno» contro la retrocessione. Cattivone di Genoa!
Caro sig. Manti, quando palesemente si è incapaci, bisogna anche saper perdere. Prendere la medicina amara, ristrutturarsi e cercare nella riscossa, di far meglio.
Ma non mi parli del fatto che il Toro se ne esce a testa alta. Gli insulti, seguiti dall’aggressione passando a «vie di fatto» non è degno di una squadra dal passato glorioso come il Torino.

La saluto sempre con la massima cordialità.

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