Cronache

«Ecco come noi piloti guidiamo il gigante»

Il pilota del porto è un mestiere poco conosciuto, ma di vitale importanza per snellire il traffico portuale in sicurezza. Quelle petroliere e navi da carico in rada, davanti ai moli della Lanterna che sembrano palazzoni posati sull'acqua, sono l'oggetto dei «maneggi» dei piloti che, insieme ai rimorchiatori e agli ormeggiatori, le portano sotto le gru in meno di un'ora per il carico e lo scarico. Chi non conosce la forza del mare, dei venti, chi non è addentro alle manovre per pilotare una nave in spazi limitati, non immagina le fatiche e i rischi che questi uomini sopportano e superano grazie all'esperienza e a una tenacia non comune. «I piloti del porto di Genova hanno un "vanto" di cui vanno fieri: il cattivo tempo non ha mai fermato il loro lavoro! In questa semplice affermazione - spiega Carlo Gatti, 73 anni, già comandante di rimorchiatori d'altura e per trent'anni pilota del porto di Genova - c'è una storia secolare di sacrifici, paure superate, qualche incidente, ma anche tante soddisfazioni personali e riconoscimenti da parte del mondo dello shipping. Per capire questo mestiere - aggiunge - dobbiamo immedesimarci nella vita del pilota portuale, chiamato a pilotare una nave di oltre 300 metri di lunghezza, a volte con il mare che travolge la diga e il vento di tramontana che soffia a 40-50 nodi».
È sempre lui, Gatti, che spiega come si svolge la manovra in quelle particolari condizioni: «Il pilota s'infila il giaccone e parte con fermo proposito che quella nave dev'essere comunque ormeggiata in banchina. Il timoniere punta la prua, verso l'obiettivo; ci vuole manico a tenere la nave che si alza sulla cresta dell'onda e poi plana ed è investita da scrosci d'acqua che la risucchiano. Il pilota comunica via radio con la nave, verifica i pescaggi, le condizioni meteo-marine, preavvisa la torretta dei rimorchiatori e informa gli ormeggiatori dell'arrivo previsto. Quando la pilotina affianca la nave, scende la "biscaglina", cioè una scaletta di corda con tarozzi di legno. Per il pilota è ancor oggi il sistema più sicuro per salire a bordo - precisa il comandante -, il timoniere deve manovrare con molta perizia e valutare l'altezza e la direzione di ogni onda che s'abbatte sulla pilotina, allontanandola o sbattendola contro la nave. I piloti anziani dicevano: “Salire e scendere da bordo è la manovra più difficile!“ E scendere - ricorda Gatti - è ancora più difficile e pericoloso che salire perché il pilota si posiziona sulla scaletta a circa metà della sua altezza e, non potendo risalire in fretta, può essere un facile bersaglio dei movimenti fuori controllo della pilotina e venire colpito nella parte inferiore del corpo».
Sul ponte di comando, poi, subentra la pratica. Al comandante, che spesso è un amico, si spiega la manovra d'ormeggio e ci si accorda sul numero dei rimorchiatori da impiegare per portare la nave in porto. La navigazione manovrata è completamente diversa da quella navigata in mare aperto; in porto gli spazi sono ristrettissimi, se si strappa un cavo da rimorchio, la nave può urtare contro le opere portuali. Occorre conoscere il traffico in corso, i fondali, le correnti, i venti, la risacca tipica della zona per prevenire gli incidenti che sono sempre in agguato. «A Genova - conclude Gatti - si teme il libeccio che a volte sfonda con una forza impressionante, mai però raggiunge la forza dell'Atlantico, del quale ho ancora ricordi di "grandi legnate" quando comandavo i rimorchiatori d'altura, lunghi appena 50 metri, e affrontavamo in inverno tempeste di altre dimensioni».

A testimoniare queste esperienze ci sono le foto, che si vedono sui libri scritti dal comandante Gatti, e nelle mostre storico marinare da lui organizzate per far conoscere un mestiere fatto di esperienza, coraggio e accortezza, non comuni anche in campo marittimo.

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