La Fiera non vede la crisi mentre gli imprenditori fanno il funerale al Nautico

Per la prima volta in 52 anni di Salone Nautico, gli imprenditori della nautica protestano col governo, scrivono al premier e non partecipano alla cerimonia di apertura: «Inoltre, usciremo dagli stand al passaggio del corteo di politici e Autorità a rappresentare simbolicamente il vuoto che sta davanti a noi».
Monti e Passera restano nei palazzi di Roma, snobbano Genova e l'evento mondiale, che sabato mattina sarà inaugurato soltanto dal viceministro Mario Ciaccia. Dicono gli imprenditori della nautica: «Quella del 2012 potrebbe essere l'ultima edizione. Nel 2011 - quando al governo c'era ancora Berlusconi - il trend negativo della crisi si era fermato e vedevamo un barlume di luce alla fine del tunnel. Se Monti non riscrive la sua agenda, la prossima primavera la nautica in Italia rischia di cessare di esistere. Per il Salone 2012 non battiamo il Tricolore, ma la bandiera della speranza. Forse l'ultima».
Un fatturato passato da 6,4 miliardi di euro nel 2008 a 3,4 miliardi nel 2011. Un crollo dell'80 per cento della produzione per il mercato italiano. Una riduzione della forza lavoro stimata in 20mila addetti. Oltre 30mila barche «dirottate» su altri porti del Mediterraneo. Centinaia di aziende medio piccole chiuse, strozzate anche da tasse e banche. Quelle che ancora sopravvivono sono le grandi, grazie al business con i paesi del Bric e Dubai. Senza contare rinunce e polemiche dei produttori di barche a vela, che espongono a Cannes, Montecarlo, Miami, ma che non volevano più partecipare al Salone italiano. Poi rientrate, almeno per i marchi più prestigiosi, soltanto all'ultimo minuto.
Ore 11,30 di ieri. Palazzo della Camera di Commercio. La compagna presidente della Fiera, Sara Armella, chiama i visitatori a Genova e presenta così la manifestazione: «Quello del 2012 non sarà il Salone della crisi».
Ore 11,31 ora italiana. Houston, Texas. La sala controllo risponde e annuncia: «Life on Mars».
Ore 12. Via Garibaldi. Si torna sulla Terra. A parlare è il presidente dell'Ucina Anton Francesco Alberoni. «Non bisogna farsi illusioni - spiega l'imprenditore - i 900 espositori, gran parte dei quali hanno investito le loro ultime risorse per non chiudere l'attività ed essere presenti al Salone 2012, in queste condizioni di politica economica e fiscale sono degli eroi dell'Italia che lavora e sostiene il lavoro. Il disastro del mercato italiano non è dovuto soltanto alla crisi globale cominciata nel 2008, affievolitasi nel 2011 e ritornata forte nel 2012. Il governo Monti deve cambiare atteggiamento, che risulta negativo, pregiudizievole e dannoso per lavoratori e fruitori della nautica. Siamo il quinto settore del made in Italy e ne siamo orgogliosi. Rappresentiamo una risorsa per la ripresa e lo sviluppo del Paese, alla quale può rinunciare soltanto chi è stolto».
Poi ci sono le decine di migliaia di diportisti che, come era prevedibile, dopo i «danni» mediatici conseguenti ai controlli adesso danno lavoro all'estero: dalla Croazia al Montenegro, Francia, Corsica e Spagna. «L'evasione è un malcostume inaccettabile - dice Alberoni - chi evade e raggira è un farabutto. Abbiamo presentato proposte al governo pure in tal senso. Però il nuovo redditometro è improduttivo. Chi compra un camper o la seconda casa e spende 100mila euro è considerato come potenziale evasore alla pari. Invece, chi compra una barca e spende la stessa cifra, lo viene considerato 5 volte di più e sarà soggetto a maggiori controlli. Altro che equità fiscale.

Tanto per fare un altro esempio: nei mari italiani, unico caso al mondo, siamo arrivati al punto che i controlli sui diportisti, non li fanno soltanto Guardia Costiera, Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, ma pure vigili urbani e agenti di Polizia penitenziaria. Giuro. È vero».

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