Fincantieri, un altro lavoro è possibile

Fincantieri, un altro lavoro è possibile

(...) Ecco, credo che questo modello si legga nella lettera affissa in bacheca nello stabilimento Fincantieri di Sestri Ponente da un gruppo di lavoratori che hanno raccontato il loro lavoro e la loro disponibilità per costruire anche carceri galleggianti, piattaforme eoliche, gassificatori in mare, piattaforme per lo smaltimento dei rifiuti, strutture galleggianti per smaltire i fanghi, navi ecologiche...
Insomma, il racconto di un futuro possibile. Di un cantiere dove non ci siano più una politica e un sindacato che pensino di imporre la costruzione di navi che gli armatori non ordinano più. E non è un caso che un amministratore che forse non è un adone, che forse non in grado di gareggiare in concorsi di bellezza come ad esempio la sua addetta stampa Laura Calzolari, ma certo capace e mai scontato nel modo di ragionare, come Giuseppe Bono, abbia letto con molta attenzione quella lettera, facendola propria.
Mica finita. Pensate che quasi tutte le produzioni di cui parlavamo, che sono all’avanguardia mondiale e che potrebbero farci vivere un nuovo rinascimento nelle produzioni navali italiane, nascono dal centro studi Fincantieri del Cetena, una delle strutture genovesi del gruppo. Insomma, ci sarebbe da esserne orgogliosi anche solo a guardarla dal punto di vista campanilistico.
Peraltro, senza dimenticare la storia di Sestri e l’importanza del cantiere di via Soliman per la navalmeccanica non solo italiana, ma addirittura mondiale. Qualcosa che ha dettato le prime righe della bellissima lettera affissa nelle bacheche dello stabilimento: «Non è facile descrivere l’orgoglio dei lavoratori quando una nave costruita in Cantiere (scritto proprio così, con la maiuscola, e non è un caso ndr)viene consegnata, ed è impossibile raffigurare l’amarezza con la quale prendiamo coscienza che forse quella in costruzione potrebbe essere l’ultima...». Eppure, nonostante queste osservazioni, i lavoratori scrivono: «Non vi chiediamo assistenzialismo. Se fossimo rassegnati o inconsapevoli delle nostre capacità potremmo “adagiarci” sugli ammortizzatori sociali, bensì ci piace pensare che i sacrifici che saremo collettivamente chiamati ad affrontare possano anche servire a non disperdere quel grande patrimonio di sapere che le nostre aziende possono vantare in tutto il mondo».

Su, su, fino alla conclusione: «Aiutateci a fare quello che da sempre facciamo bene, il nostro Lavoro». Anche stavolta con la maiuscola. Parole di estrema Dignità. E pure questa maiuscola non è affatto casuale.
(2-continua)

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