Gasp, che sfida La rabbia e l’orgoglio dicono Genoa

Gasp, che sfida La rabbia e l’orgoglio dicono Genoa

A intervistarlo, Gian Piero Gasperini, si può anche provare. Il fatto è che neppure Massimo Moratti è riuscito a fargli dire qualcosa di «pesante». Tra un «preferisco non parlare» e un «a Genova ho trascorso anni bellissimi» si potrebbe anche buttare giù un instant book in tempo per Inter-Genoa. Ma per trovare la morale non servirebbe neppure arrivare all’ultima pagina: il mister di Grugliasco avrebbe comunque salvaguardato il suo vero obiettivo, legittimo, che è quello di non dire qualcosa che possa pregiudicare per lui una futura panchina di prestigio in serie A. Le uniche due che ha finora occupato più o meno a lungo, saranno tra tre giorni lì, l’una a una ventina di metri dall’altra. Ma su entrambe siederanno altri allenatori, perché a lui sono state tolte non senza polemiche.
Più improvviso e forse inaspettato il licenziamento dal Genoa. Più atteso, quasi annunciato, invocato quello dall’Inter. E allora, provando a immaginare un Gasp seduto sul divano di casa, a guardare Inter-Genoa, si vedrebbe un mister solo in apparenza distaccato, agnostico. Il «no contest» che si potrebbe augurare in un’intervista ufficiale, per lui in realtà non esisterebbe. Lui, quella partita se la giocherà, eccome. Quasi certamente tifando Genoa. O più correttamente, sperando che vinca il Genoa.
Troppo cattive e gratuite le ultime parole di Moratti che, dopo aver licenziato anche Ranieri perché incapace di trovare la bacchetta magica e trasformare l’Inter in una squadra, non ha avuto altro da dire se non che «la stagione è stata rovinata da Gasperini. La maggior parte delle colpe sono sue». Insomma, che Moratti domenica sorrida, proprio il mister non riesce ad augurarselo. Anche con Enrico Preziosi non si è lasciato certo benissimo. Qualche ulteriore frecciatina i due se la sono scambiata la scorsa estate in occasione dello «scippo» di Juric. Ma i toni sono sempre stati contenuti nel limite del buon gusto. E soprattutto, Gasperini da molti tifosi del Genoa è ancora amatissimo, rimpianto.
I fatti incontestabili dicono che il suo Grifo è stato l’ultimo a giocare un bel calcio. Anche se purtroppo il suo stesso ultimo Grifo è stato il primo a giocare un brutto calcio, pur se peggiorato dai suoi successori. E allora, non fosse altro che per non tradire molti suoi amici lasciati a Genova, il Gasp domenica la partita la vedrà sognando un bel risultato per i rossoblù.
Poi, precisino e professionale com’è, il suo sguardo non sarebbe certo quello del tifoso che aspetta il gol e basta. Se fosse proprio solo in casa, magari tirerebbe persino qualche urlaccio a Frey che non fa un passo avanti per giocare da libero aggiunto. Poi si sbraccerebbe davanti alla tv ogni volta (cioè sempre) che vede partire un lancio lungo da Kaladze. Poi soffrirebbe come un cane a pensare che a Mesto e Rossi è stato disinsegnato a raddoppiarsi l’un l’altro. Poi, magari cercando di contenersi un po’, gli scapperebbe pure qualche suggerimento a Palacio che gioca sempre troppo avanzato e non si sacrifica più. Poi si preparerebbe la lezione di tattica del martedì andando a cercare le cassette di Juric e Milanetto da far vedere a Biondini e Veloso. Poi, ovviamente, Belluschi o Jorquera proprio non riuscirebbe a concepirli lì, a cercare il passaggio filtrante centrale, quando hai quelle belle fasce su cui far galoppare Sculli o Jankovic. Gilardino no, lui di mazzo per gli altri se ne fa fin troppo, proprio come piacerebbe a mister Gasp.

Ma alla fine, ponderato il peso dei rimpianti, dei rimorsi e dei ricordi, a far scappare un sorriso sornione al tecnico di Grugliasco sarebbe comunque un bel risultato del Genoa. Guai però a chiedergli che significato avrebbe quel sorriso. «Nessun commento da fare - sarebbe la sua risposta fotocopiata -. Quando sarà il momento opportuno parlerò, ma oggi no».

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