(...) Poi, ha continuato Il Secolo XIX di giornalisti doc ed amici come Umberto La Rocca e Gigi Leone che, nelle pagine guidate da Renato Tortarolo, che sono sempre una specie di tric-a-atrac dialettico, fatte apposta per stupire, ha lanciato il dibattito «Basta appelli, la cultura non va difesa», firmato da Simone Regazzoni, a cui ha risposto ieri Giuliano Galletta.
Quindi, è toccato, sempre ieri, a un convegno della Consulta Ligure e della Banca dItalia, che - indicatori economici, Pil, e dati sulloccupazione alla mano, con tutti i crismi economici possibili immaginabili - ha certificato che è necessario investire maggiori risorse nella cultura per far crescere qualitativamente la società e nel tempo stesso creare sviluppo. Anche perchè i dati non sono drammatici, visto che - nonostante la crisi - la cultura tiene e il fatturato è il 2,3 per cento del Pil italiano, poco al di sotto del livello europeo del 2,6 per cento. In queste classifiche al primo posto viene il Lazio, poi la Val dAosta, ma la Liguria se la cava bene.
Vedete, cè un verso de Le radici ca tieni, una canzone dei Sud Sound System, gruppo salentino che canta in dialetto leccese, che dice «Dai chiu valore alla cultura ca tieni!» e credo sia il grido più forte, a tutte le latitudini. Le nostre radici, la nostra cultura, sono la nostra forza, il nostro futuro e il legame con il nostro passato. Difendere la nostra identità è difendere noi stessi e i nostri figli. E un centesimo speso in cultura è, comunque, un centesimo speso bene. Sarà pur vero, come disse Giulio Tremonti poi correggendosi da persona intelligente qual è, che la cultura non si mangia. Ma è anche vero che, se si mangia senza cultura, non si è neppure in grado di sentire il sapore di quello che si mette sotto i denti.
Il problema è che non è sufficiente dichiararsi «cultura» per esserlo davvero. Anzi, il brivido dei piccoli numeri di certi intellettuali, il piacere di piacere a pochissimi, è lesatto contrario della cultura. La cultura senza mercato non è cultura. Anzi, semplicemente, non è.
E, come ha detto lunedì, con il coraggio del politicamente scorretto, Giacomo Poretti - un terzo di Aldo, Giovanni e Giacomo, nel corso della serata della Fondazione Edoardo Garrone, di Duccio e Paolo Corradi, due che alla cultura ci credono davvero e non a parole - «prima di chiedere aiuto, la cultura deve aiutarsi da sola».
E, quindi, veniamo al dibattito del Secolo. Che, volendo, visto che è sempre valido, può essere anche considerato il dibattito del secolo. Regazzoni, che nella vita fa il filosofo (o «il giovane filosofo» come scrive Galletta con una sfumatura che a me è parsa ironica, ma forse sono solo maliziosetto), sostiene anche giustamente che, spesso, cè gente che si riempie la bocca di cultura solo per fare buona figura in società. E documenta le sue parole con episodi vari che testimoniano lignoranza di tanti sedicenti intellettuali, come quelli che a Bologna per una settimana applaudirono Lalbero della vita di Terence Malick, gridando al capolavoro (come pare si debba fare ogni volta che qualcuno proietta unopera del regista più di culto e meno prolifico della storia), nonostante il proiezionista si fosse sbagliato e proponesse il film con le due pizze montate al contrario. Insomma, prima facevano vedere il secondo tempo e poi il primo, ma senza dirlo, fra gli applausi entusiasti dei cinefili felsinei. Forse, perchè lunica pizza reale era il film stesso, ma nel senso meno nobile della parola. Insomma, Regazzoni ha ragione su questo. Ma passa dalla parte del torto quando, per portare agli estremi la sua provocazione, ad esempio cita Edoardo Sanguineti per smontare Pasolini. Il poeta genovese disse su PPP: «La poesia sarà magari meno peggio dei romanzi, che saranno meno peggio del cinema. Ma alla fine cosa resta di questuomo?».
Ecco, io credo che di Pasolini rimanga molto e non solo per la solita citazione di Valle Giulia e per la difesa dei poliziotti proletari contro i no global del tempo, i sessantottini delle famiglie borghesi. La scomparsa delle lucciole o la critica al consumismo sono attuali oggi come allora, mentre la domanda vera è unaltra: se non fosse stato per il Comune di Genova, che ne ha fatto unicona venerata, con tanto di versi proiettati in via Garibaldi su indicazione della Marta, cosa resterebbe di Sanguineti?
Credo davvero molto poco.
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