Giacomo il biblista, il teatro pieno e la poltrona vuota

Giacomo il biblista, il teatro pieno e la poltrona vuota

(...) lasciano spazio a una serata dalla temperatura quasi estiva, con le luci che scivolano sui palazzi dietro piazza del Monastero e via Buranello, regalando sprazzi della bellezza di una delegazione che - prima di essere sventrata da politiche folli, centri commerciali e immigrazione incontrollata - era un gioiello. E, a ben vedere, lo è ancora.
Al centro di questa bellezza notturna, come spesso accade, c’è il teatro Modena, l’Archivolto, il lavoro di gestione di Pina Rando, quello di regia di Giorgio Gallione, capace di segnare il palcoscenico anche solo con l’utilizzo delle luci o dei leggii, come si può vedere anche nelle foto che pubblichiamo in queste pagine. E, soprattutto, c’è la capacità della Fondazione Edoardo Garrone di svariare sulle fasce, organizzando incontri come quello di lunedì sera. Proprio per questo, nonostante si tratti di un’istituzione assolutamente privata e che non spende un centesimo pubblico, credo che occorra riconoscere il valore di servizio pubblico del lavoro del segretario generale Paolo Corradi e del mecenatismo di Duccio Garrone, due benemeriti.
Il resto, ce lo ha messo Giacomo, sì quello «di Aldo, Giovanni e Giacomo». Raccontando le sue esperienze come biblista, a partire dal piacere della lettura dei salmi, ma anche le sue esperienze come figlio di operai proveniente dalla Lombardia più profonda, il cui approccio con la Liguria era segnato da terribili esperienze in colonia a Celle: «Cosa ridete? I liguri sono più furbi e, ovviamente, in colonia a Celle Ligure non ci andavano e lasciavano il privilegio a noi lombardi e piemontesi».
Soprattutto, Giacomo ha raccontato la sua gioventù da lettore precoce, l’enorme dignità della sua famiglia non ricchissima che però ci teneva a far leggere suo figlio e che, in quarta elementare, gli regalò La divina commedia con le illustrazioni di Gustavo Dorè. Ricordando come, di fronte al suo sguardo un po’ spaesato, sua mamma (la signora Poretti, la mamma di Giacomo «di Aldo, Giovanni e Giacomo»), lo rassicurò: «Tranquillo, papà lo paga a rate».
Ecco, la bellezza del racconto di Giacomo è il racconto di quell’Italia. Che aveva molto meno, ma si gustava molto di più. Eppure, anche in queste parole, il protagonista del lunedì FEG riesce a non cadere in luoghi comuni, nè luogocomunismi, «anche a costo di essere politicamente scorretto. Ad esempio, è giusto aiutare la cultura, ma è la cultura prima di tutto a doversi aiutare da sola».
Ecco, tutte queste cose, l’altra sera, mi sarebbe piaciuto che le avesse sentite anche Gibì De Paoli, un nostro caro amico, di 93 anni, che ci ha sempre seguito ovunque, anche a Savignone, fidandosi dei nostri consigli.

Proprio l’altro giorno, giusto come si fa con gli amici di famiglia, ci aveva invitato a pranzo e chiesto lumi sui sondaggi, appassionato alla corsa per il Comune di Genova.
Gibì è mancato, senza soffrire, poche ore prima di venire al Modena. Ma quello che si è detto sul palco gli sarebbe piaciuto molto. Lunedì sera, senza che Giacomo lo sapesse, era anche e soprattutto per lui.

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