La Liguria si ribella ai controlli che considerano evasori i clienti

La Liguria si ribella ai controlli che considerano evasori i clienti

(...) A Genova, come nelle località delle Riviere, accade con frequenza che gli uomini del fisco fermino i clienti all’uscita di ristoranti o negozi, in particolare di quelli ritenuti di più alto livello, per farsi consegnare i loro codici fiscali. E poi andare a verificare se possono permettersi una cena, o una borsa. Se possono o meno dire di aver risparmiato magari due euro al giorno per togliersi dopo qualche mese uno sfizio.
Questo tipo di operazioni preoccupa comunque non poco chi vive di commercio e turismo. Elisabetta Lai, presidente Ascom di Rapallo e Zoagli, ha forti perplessità: «È una fase che non riesco a comprendere. Siamo in un momento in cui si dice che è necessario un rilancio dell’economia, ma così la si blocca ancor di più - spiega i timori -. A chiunque viene voglia di andare a comprare o a fare vacanze nella vicina Svizzera, nella vicina Costa Azzurra dove non ci si sente così accerchiati, spiati. Registriamo tra l’altro un numero record di suicidi tra commercianti e artigiani, soprattutto al Nord».
Il fatto è che ormai non si deve giustificare il possesso di un’auto o di una barca di lusso, di un aereo o di un cavallo. Anche un paio di orecchini, o un week end in albergo fanno insospettire. Anche chi salutava con favore l’inasprimento dei controlli anti-evasione, rischia di ritrovarsi nel mirino. C’è chi parla apertamente di terrorismo fiscale e chi invece va controcorrente e, a sorpresa, difende questo tipo di controlli. «Non è vero che i finanzieri entrano nei ristoranti - assicura Giorgio Bove, titolare di un noto locale a Genova e vice presidente della Fepag -. Se la finanza fa i controlli all’uscita fa bene, lo ha sempre fatto, è un suo diritto. Se io faccio la ricevuta o la fattura sono a posto». Il problema è un altro. Il cliente rischia di sentirsi sotto controllo e magari non torna. E anche se il ristoratore si sente nel giusto, la prossima volta perderà qualche coperto. «Se il cliente si fa fare una fattura per scaricarsela dalle tasse come cena di lavoro e invece magari viene a mangiare con l’amica, è giusto che sia controllato - replica Bove -. Dobbiamo metterci in testa che vale il “male non fare, paura non avere”. La finanza fa il suo lavoro». Nessuno in effetti punta l’indice con chi svolge con professionalità il proprio mestiere. Il problema è semmai il tipo di controlli richiesto dall’alto. Ed è chiaro che non è sempre stato così, ma con questo governo si è dato il via a un tipo di accertamenti che, a detto degli interessati, rischiano di mettere in ginocchio l’economia.
«Che il settore della piccola e piccolissima impresa sia in crisi è un dato di fatto - allarga le braccia Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti Genova -. Sennò non si spiegherebbero tante imprese che chiudono. La contrazione dei consumi è innegabile, come l’aumento delle spese di gestione. I soldi non ci sono. Qui nessuno dice che non si debba fare lo scontrino, è un obbligo di legge e va fatto. Ma si tenga anche presente che ci sono gli studi di settore, concordati con diversi governi, che danno altri strumenti per verificare certe dichiarazioni». Quello dei controlli a carico dei clienti è un metodo che preoccupa. «La lotta all’evasione fiscale è sacrosanta, ma c’è modo e modo - ribatte De Luise -. Fare gli appostamenti e i controlli fuori dalle attività a carico del compratore serve solo a limitare i consumi. Questa sera (ieri, ndr) abbiamo un’assemblea con gli associati per parlare proprio di queste problematiche.

La gente non ci sta più a sentirsi raccontare quella dell’uva. E poi sarebbe giusto che ad ogni controllo venisse fatto un verbale, anche quando si trova tutto in regola. Invece spesso se c’è lo scontrino non viene rilasciata una certificazione all’esercente».

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