Non ripetiamo il copione del maledetto G8 genovese

Non ripetiamo il copione del maledetto G8 genovese

(...) Piccola parentesi: Iva, fra l’altro, ha gli zii a Molassana, è molto legata alla nostra città, fa l’eurodeputato della nostra circoscrizione (e lo fa pure bene), è nota, è capace di farsi capire quando parla e sa trascinare le folle. Cosa volere di più? O, forse, è troppo popolare per i talent-scout pidiellini? Chiusa parentesi.
Sta di fatto che, nel centrodestra ligure, parlare di difesa di Caselli da insulti ed aggressioni, di difesa della città da scritte e oltraggi ai monumenti, di difesa del diritto di passeggiare tranquillamente nel centro storico per le famiglie o di andare alla presentazione di un libro, persino il più antiberlusconiano dei libri, è quasi un tabù. E, nello schieramento non di sinistra, gli unici che si sono fatti sentire con comunicati al Giornale sono stati il vicecoordinatore vicario cittadino Antonio Oppicelli; il consigliere comunale Gianni Bernabò Brea e la candidata della Destra a sindaco di Genova Susy De Martini. E, con due righe all’Ansa, non a noi, si sono fatti sentire i montezemoliani di Italia Futura. Stop, fine.
Punto quarto: in questi giorni si è scatenata di nuovo la politica. Da un lato, con i silenzi, su tutti quello assordante di Marco Doria che non ha condannato le scritte No Tav in città e la manifestazione contro Gian Carlo Caselli. Dall’altro, con le parole: ieri Antonio Di Pietro si è chiesto, nemmeno a torto, perché non si possa fare la Tav sul Terzo Valico, e anche Claudio Burlando aveva lanciato la linea litoranea che passasse dalla Genova-Milano-Rotterdam, per poi connettersi con la linea francese fino a Marsiglia. Parole, altre parole. Roberto Castelli, senatore leghista eletto in Liguria, a proposito di Abbà ha detto: «Gli auguro tutto il bene, ma se vai su un traliccio ad alta tensione, lo sanno tutti che ti fulmini, prendi la scossa e casi. È matematico. Abbà non se l’è meritata, se l’è cercata». Ha ricominciato a farsi sentire una vecchia conoscenza di Genova, Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa Social Forum nel luglio 2001, durante il G8, ed ex eurodeputato di Rifondazione comunista, che ha rilanciato la sua tesi: «Le vere responsabilità sono dei vertici della Polizia e del Ministero dell’Interno».
Cioè, un tizio sale su un traliccio dell’alta tensione, gli agenti gli dicono in modo molto civile di non farlo, un altro agente rocciatore sale pure lui per convincerlo a desistere - mentre addirittura il tizio in diretta radiofonica si vanta di aver beffato le forze dell’ordine - e Agnoletto spiega serio: «Non possiamo ignorare il fatto che ai vertici nazionali della polizia e in ruoli molto delicati anche a Torino vi sono funzionari coinvolti nelle vicende del luglio 2001 a Genova. Funzionari che, anziché essere rimossi, sono stati, con il consenso della politica, promossi (compreso chi è stato condannato) e che quindi si sentono incoraggiati ad applicare in val di Susa le strategie sperimentate a Genova».
Ecco, questo dice Agnoletto. Io, invece, dico che nei fatti di questi giorni in Val di Susa vedo tante analogie con quell’estate genovese. Ma di tutt’altro tipo. Ad esempio, soprattutto, vedo una certa tendenza della sinistra a negare che il movimento no Tav è (anche) violento. Persino di quella moderata, come quella di Claudio Burlando - che, ad esempio sui temi dello sviluppo, è uno che si dà da fare sul serio, e ci torneremo nei prossimi giorni -, che cita Caselli per dire «che il movimento No Tav e i problemi della Val di Susa c’entrano molto poco con quello che è avvenuto a Genova e che rischia di ripetersi in altre città».
Ma proprio qui sta il punto. I disordini e le violenze non sono estranee al movimento No Tav. Nessuno dei leader del movimento ha preso le distanze, ad esempio, dalle fratture e dalle lesioni al personale e dagli ingenti danni ai treni dopo la manifestazione di sabato. E Sandro Plano, presidente della comunità montana e uno dei leader del movimento, dopo i fatti di sabato, ha spiegato: «Prima di prendere posizione, aspetto che siano verificate tutte le responsabilità e gli addebiti».
Ma, a tutti questi minimizzatori e agli ignavi silenziosi genovesi, dedico una volta di più una frase di Gian Carlo Caselli: «Quando leggo la scritta “Caselli come Ramelli” (il ragazzo missino diciottenne ammazzato da militanti della sinistra extraparlamentare di Avanguardia Operaia a diciotto anni ndr) mi preoccupo, mi indigno. Perché in un Paese civile non dovrebbe succedere e, se succede, dovrebbe scatenarsi una reazione dialettica forte, netta, decisa, univoca.

Si dovrebbero chiamare le persone che fanno queste scritte “delinquenti”, senza invece balbettare distinguo: “sì, ma, forse, ecco” che finiscono per alimentare una tendenza in atto molto pericolosa per la democrazia, che potrebbe portare a chissà che cosa». Ecco, se si ascoltasse Caselli, staremmo qui a raccontare un’altra Genova. Noi siamo con lui.

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