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Se Genova andasse a lezione da Dubai

(...) sono un gioiello architettonico, le più belle che abbia mai visto. Insomma, un capolavoro di metropolitana. Che però lascia aperto un dubbio: in un posto dove la benzina costa al massimo ottanta centesimi al litro (ma in Oman sono venti) e dove i concessionari di automobili sono più numerosi delle buche nelle strade di Genova, serve proprio un’opera simile? Sinceramente, non ho mai visto città dove ci si muove così tanto in auto e così poco a piedi o sui mezzi pubblici. Ma non ho nemmeno visto tanta gente sulla metropolitana-gioiello. Insomma, forse eccedono anche.
Così come eccedono sul numero di cantieri aperti: le gru e le betoniere in continuo movimento sono fin troppe e, devo dire che, a tratti, viene persino la nostalgia dei buoni vecchi piani regolatori di una volta e persino del Puc di Marta, il piano urbanistico comunale varato al grido di «costruire sul costruito» e di «zona verde» e dintorni.
Insomma, rifuggiamo gli eccessi, sempre. Così come sulle moschee: negli Emirati sono più diffuse dei bar alle nostre latitudini e, francamente, sono eccessive, con minareti come se piovesse. D’altro canto, una-moschea-una (preferibilmente bella e capace di essere anche attrazione turistica come le loro) a Genova non sarebbe scandalosa. E, da questo punto di vista, è comprensibile la posizione dell’ex azzurro e neo dipietrista Alberto Gagliardi, che ne ha fatto una personale guerra di religione, con qualche eccesso verbale di troppo.
Scandalosa, invece, è la scelta di via Bartolomeo Bianco al Lagaccio, che - con tutto il rispetto per via Bartolomeo Bianco e soprattutto con tanto rispetto per il Lagaccio, rispetto che manca da decenni alle varie amministrazioni comunali di sinistra che si sono succedute e sembrano essersi accorte solo ora dell’esistenza del quartiere per metterci la moschea - non sembra la destinazione migliore per attrarre frotte di turisti da tutto il mondo. Insomma, hanno ragione Gianni Plinio e Giorgio Bornacin a chiedere a Pierluigi Vinai di impegnarsi contro la moschea al Lagaccio. Ma ha anche ragione Pierluigi Vinai a dialogare sulla moschea. Il miglior modo per farla costruire in posti sbagliati e per solleticare gli estremismi è dire di no alla moschea al Lagaccio, ma anche in tutto il Centro Est, ma anche in tutta Genova, ma anche in tutta la Liguria, ma anche in tutta Italia, ma anche in tutta Europa, ma anche in tutto il mondo. Le moschee vanno controllate, e severamente. Ma allo stesso modo non si può non riconoscere la libertà di culto. Magari pretendendo la reciprocità nei paesi arabi.
Chiusa parentesi sulla moschea. Torniamo a Dubai e Abu Dhabi. Dove sembra di respirare l’aria positiva e gioiosa che ha caratterizzato i nostri anni Cinquanta e Sessanta, il miracolo economico e il boom del dopoguerra. Da queste parti, fino alla scoperta del petrolio e all’apertura dei primi pozzi a cavallo fra il 1968 e il 1972, i popoli erano beduini del deserto. E loro lo rivendicano, orgogliosi delle proprie origini.
Poi, il boom. Dovuto sì al petrolio, ma anche e soprattutto alla voglia di crescere, di superare in continuazione le colonne d’Ercole della condizione preesistente, capace di far sembrare vecchio dopo un mese quello che era rivoluzionario fino al giorno prima.
Ecco, se studiate corsi e ricorsi storici, Genova è stata nei secoli una cosa simile. Un immenso crogiuolo di culture e di razze capaci di far crescere la nostra città fino a diventare il centro del Mediterraneo. Una delle vere capitali culturali ed economiche dell’Italia e dell’Europa. Certo, non senza errori, come una cementificazione folle, non tanto in quantità, ma in qualità e in localizzazione.
Eppure, in quegli anni c’era vita. Davvero simile agli Emirati di oggi. Mentre ora, a furia di «no» e di comitati che sembrano essere il Dna della candidatura di Marco Doria, che personalmente è uno perbene ma che è troppo legato a questi mondi, rischiamo di diventare un deserto. Con noi nei panni dei beduini.
Primo piccolo particolare: la ricchezza di razze e di culture a Dubai e Abu Dhabi è una vera, grande ricchezza. Ma lì c’è il meglio del mondo e dei popoli, non la feccia - senza distinzione di razza e colore, quindi compresi italianissimi e genovesissimi - a cui noi stendiamo tappeti, rossi ovviamente.
Secondo piccolo particolare: loro sono musulmani e hanno la loro cultura.

Ma la difendono e la rispettano, facendo della propria identità uno scudo e un punto di forza. Mi piacerebbe che noi cristiani, rispettando i musulmani, iniziassimo a rispettare anche le nostre radici e la nostra identità. Anzichè calpestarle.

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