(...) nei giorni scorsi su queste pagine il nostro Diego Pistacchi, raccogliendo il grido dallarme di Walter Pilloni, uno che di quel tipo di imprenditore è quasi la definizione vivente. Pilloni è uno che aveva unattività, la banda stampata, che a un certo punto non è andata più così bene e che - dopo aver lanciato una serie di Sos lasciati senza risposta - si è rimboccato le maniche da solo, cercando di diversificare, per dare un altro lavoro ai suoi dipendenti. Con le auto di lusso non è andata bene, complice la crisi, mentre Ecomission, il motorino elettrico, ha fatto il botto. Tanto che la capacità produttiva non riesce a star dietro alla richiesta. Il che, per un imprenditore, soprattutto di questi tempi, è un sogno.
Ma il meglio deve ancora venire. In mezzo a gente che continua a delocalizzare e a portare le produzioni in Cina o nel Far East, Pilloni pensa a fare il contrario, a localizzare. E sta aspettando gli ultimi timbri della motorizzazione e gli ultimi permessi per portare la produzione degli scooter elettrici e delle relative colonnine dalla Cina a Sestri Ponente, via delle nuove tecnologie Enrico Albareto. Il che mi parrebbe una cosa da conferimento del Grifo doro e di onorificenze varie ed assortite.
Invece, tranne noi e pochi altri, a Genova Pilloni se lo filano poco. Circostanza tipicamente genovese. E non raccolgono il suo grido dallarme per la condizione dei piccoli e medi imprenditori. Pensate che, come ha spiegato anche il leader degli artigiani di Sampierdarena Fabio Costa, negli ultimi anni, solo nella delegazione, sono saltate più di 300 piccole e piccolissime imprese, senza che nessuno spendesse una lacrima. Anche se, messe insieme, impiegavano molti più lavoratori di tante grandi imprese genovesi.
Eppure, per tutti questi, non cè e non cè mai stato nessun articolo 18, nessun ammortizzatore sociale, nessuna marcia di protesta bipartisan.
Sono gli stessi che, spesso, vengono «perseguitati» da Equitalia o rincorsi da cartelle esattoriali pesantissime e da studi di settore che certificano e cristallizzano un mondo che non cè più, tranne che per gli esattori del fisco. Intendiamoci: io, personalmente, non sono contrario ai controlli e, anzi, trovo benemerito il fatto di far pagare le tasse a chi non le paga. Perché chi non paga ruba quotidianamente a tutti noi, non contribuendo a sanità, scuola, sicurezza e servizi. E ruba doppiamente usufruendo di sgravi e aiuti pubblici. Insomma, chi paga - magari non perché è virtuoso, ma semplicemente perché è obbligato a farlo - rischia di essere cornuto e mazziato. E proprio per questo, nella scorsa campagna elettorale, avevo criticato la solidarietà portata dagli allora candidati del Pdl Enrico Musso e Renata Oliveri a un forno chiuso perché non faceva scontrini.
Detto questo, detto che le tasse vanno pagate (non che ci volesse un genio a dirlo, ma a volte lonestà rischia di essere rivoluzionaria), occorre anche dire che redditometri che non corrispondono alla realtà, non aiutano chi vorrebbe essere onesto ad esserlo. Occorre anche dire che aliquote del 43 per cento (più i contributi) che costringono a lavorare per lo stato da gennaio a luglio, quasi ad agosto, non aiutano. Occorre anche dire che, se uno o paga le tasse o muore, magari prova a pagarne meno piuttosto che morire. Sbagliando, forse. Ma è difficile non provare a comprenderli.
Soprattutto, occorre dire che pagare lIva in anticipo su cifre che non si incassano, è immorale e vergognoso.
E bisogna anche dire che è giustissimo pagare le tasse il primo giorno in cui arriva la bolletta. Ma sarebbe altrettanto giusto che lo Stato e le pubbliche amministrazioni pagassero allo stesso modo il primo giorno, senza costringere tanti piccoli e medi imprenditori ad aspettare mesi, quando non anni, per essere ricompensati per il proprio lavoro.
La legge è uguale per tutti. Ma per qualcuno di più.
Senza spina dorsale, muore tutto il corpo, muoiono tutti. Anche i super-garantiti. Pensateci.
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