Vincenzo Spera, quando la cultura è a costo zero

Vincenzo Spera, quando la cultura è a costo zero

(...) Eppure - nonostante tutte queste caratteristiche e il suo carattere schivo al limite della cartavetrata quando risponde «Chi è?» al telefono, con cadenza che tradisce le sue origini non genovesissime, che sono anche la sua forza - Spera ha una marcia in più.
Salvo miei errori od omissioni, dall’inizio dell’anno, Spera ha portato o porterà a Genova, fra Carlo Felice, Politeama e 105 Stadium alla Fiumara: Ivano Fossati, Elio e le Storie Tese, Roger Daltrey, Giorgia, Mario Biondi, Enrico Brignano (oggi), Laura Pausini (sabato e domenica), James Taylor (29 marzo), i Litfiba (17 aprile), Antonello Venditti (19 aprile), Fiorella Mannoia (20 aprile), Marco Mengoni (21 aprile), Steve Hackett (22 aprile), Caparezza (24 aprile), Roberto Vecchioni (27 aprile), i Negramaro in prima nazionale (30 aprile), Marco Masini (8 maggio), Tiziano Ferro (19 e 20 maggio), Biagio Antonacci (24 maggio)...Ci sono settimane dove addirittura ci sono due concerti al giorno in sedi diverse.
E, piaccia o no uno o l’altro cantante, la cosa bella di Spera è che dà spazio a tutta la musica, a tutti i gusti, senza chiedersi come vota Tizio, chi appoggia Caio alle primarie, o se Sempronio può essere più o meno gradito a un politico, piuttosto che a un altro. E i suoi criteri di scelta sono sempre e rigorosamente di mercato. Ad esempio, di questi tempi, vendere biglietti per i concerti è un’impresa. E, mentre la Pausini era già partita con un doppio appuntamento genovese, l’unico che ha raddoppiato le date in corso d’opera grazie alla straordinaria prevendita è Tiziano Ferro, il migliore del mazzo. In altri casi, invece, il botteghino fatica.
Eppure, Spera non chiede soldi, non si lamenta, ma lavora affinchè la prevendita vada meglio. Rischia del suo e non si lamenta del destino cinico e baro o del governo cattivo o della giunta avara. No, se gli arrivano contributi o se il Comune gli commissiona questo o quell’altro spettacolo, appoggiandosi ai suoi service e alla sua organizzazione, è (ovviamente) contento.
Ma, se non gli arrivano, va avanti lo stesso, a testa alta. Sperando di portare a casa numeri positivi. Pensate che le uniche due volte che si è lamentato pubblicamente di qualcosa è stato solo sul costo delle affissioni per il concerto a favore delle vittime dell’alluvione che ha voluto regalare alla città insieme a Gino Paoli e sul fatto che spesso il meccanismo per affittare il Carlo Felice era farraginoso. Insomma, si trattava di soldi da mettere nelle casse pubbliche, non da prendere o, peggio, da depredare. Circostanze che fanno di Spera - secondo l’azzeccatissima distinzione portata avanti nei secoli dall’ex sottosegretario azzurro ed oggi esponente dipietrista con la stessa passione Alberto Gagliardi - un vero imprenditore e non un qualsiasi «prenditore».
Ecco, io credo che quando si parla di cultura sia questo il modello. È giusto che si aiuti il settore e senza cultura non si va assolutamente da nessuna parte.

Ma è altrettanto giusto che non ci si inebri degli insuccessi, che non si soddisfino le proprie turbe intellettuali sulla pelle di istituzioni di tutti (le turbe intellettuali sono legittime, quello che non è legittimo è che le paghino i cittadini) e non si giochi con i soldi pubblici sapendo che, tanto, alla fine, il conto lo salda Pantalone.
Perchè vedete, nel mondo della cultura, c’è chi aspetta. E chi Spera.

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