"Da Gesù a Socrate fino a Bossetti il protagonista è sempre l'imputato"

L'avvocato-professore spiega il legame tra letteratura e processo: "In fondo si occupano della stessa cosa: la complessità dell'animo umano"

"Da Gesù a Socrate fino a Bossetti il protagonista è sempre l'imputato"

Giura che un romanzo lui non lo scriverà mai, "perché mi sembrerebbe di dissacrare il segreto di ciò che ho saputo parlando con i miei clienti, anche se dovessi trasfigurare nomi e luoghi". Ma del rapporto profondo che lega letteratura e processo, Angelo Giarda - settantasei anni, a lungo docente di Diritto penale alla Cattolica, e avvocato in piena e combattiva attività - è sempre stato un appassionato cultore. E della profondità di questo legame ha una spiegazione semplice: "Letteratura e processo si occupano in fondo della stessa cosa, la complessità dell'animo umano".

Il romanzo giallo è il trionfo della banalità: c'è un delitto, si scopre l'autore, siamo tutti più tranquilli. Invece il processo è incertezza, inafferrabilità. Perciò è così affascinante?

"Sì, ma non solo. Dentro ad ogni processo, assistiamo alla contrapposizione frontale tra la libertà di ciascuno di noi e la vocazione repressiva dell'autorità. Lo scrittore finisce per entrare nei meccanismi che tengono in piedi questo contrasto e che sono psicologici, economici, sociali. Terreno fertile per qualunque scrittore di qualità, come si vede. Poi, certo, a rendere il tutto drammatico è l'incertezza sulla decisione. È stata emessa la sentenza giusta? Direi che da Kafka al caso Yara, siamo fermi a questa domanda".

D'altronde il primo processo letterario della storia si blocca davanti alla domanda di Pilato a Gesù: "Che cos'è la verità?"

"Non bisogna aspettare il Vangelo di Giovanni perché questa domanda si imponga. Già Platone, con il Critone e l'Apologia di Socrate ci aveva messo davanti ai nodi essenziali del processo penale. Anche in Omero l'impronta processuale è evidente, perché le peripezie di Ulisse altro non sono che il frutto della condanna inflitta per il torto fatto ad Apollo, e anche qui la domanda incombe su tutta la narrazione: è stata emessa la sentenza giusta? Da allora la curiosità per esplorare le dinamiche del processo non si estingue più. Basti pensare a Cicerone, che è per larga parte letteratura giudiziaria. Cos'è il quousque tandem abutere se non una requisitoria da pubblico ministero? Da allora in avanti è tutto un crescendo che porta fino al momento più alto, che per me sono i Promessi Sposi".

Ma lì di processi non si parla.

"Non c'è un processo dal punto di vista pratico, ma tutto il percorso seguito da Manzoni per approdare all'idea della Divina Provvidenza, alla certezza che chi non viene processato sulla terra verrà processato da Dio, passa per la ricostruzione dei meccanismi giudiziari. Credo che Manzoni non abbia inserito la Storia della colonna infame nei Promessi sposi solo perché erano già abbastanza lunghi. D'altronde ricordiamoci che era il nipote di Cesare Beccaria, e quindi aveva ben chiari i pericoli insiti nel processo penale. Direi che se andiamo a rileggere la Colonna infame abbiamo la conferma che certi comportamenti dell'organo dell'accusa non sono un problema di oggi o di ieri, ma costanti nel tempo".

Quali soggetti del processo affascinano di più gli scrittori?

"L'imputato, innanzitutto. La vittima invece svanisce, anche il reato resta quasi sempre sullo sfondo, e tutto si gioca nella dialettica tra accusato ed accusatore. A colpire è il ruolo secondario, quasi marginale, che viene riservato al giudice. Il giudice nei romanzi è una entità astratta, neutra, sbiadita. A volte non conosciamo neanche il suo nome, anche se è a lui che tocca la decisione finale. Ma devo dire che anche in questo la letteratura non è infedele alla realtà. Anche noi in aula tendiamo a rimuovere la persona del magistrato, a non associare alla toga una persona in carne ed ossa. A volte è un meccanismo di autodifesa. Io, per esempio, i nomi dei giudici che hanno assolto Alberto Stasi me li ricordo perfettamente. I nomi di quelli che lo hanno condannato ingiustamente invece tendo a cancellarli".

Raramente il processo esce bene dalle pagine dei libri, il sapore o almeno l'odore dell'ingiustizia sono sempre in agguato.

"Ma sì, basti pensare al Conte di Montecristo. E questo è un grande merito della letteratura, ricordarci in continuazione che al termine del processo non ci verrà offerta una verità metafisica ma una verità relativa, pronta a venire smentita da conquiste successive di ogni tipo. Una volta si ammettevano come prove le confessioni ottenute tramite tortura, oggi fortunatamente non è più così.

Però ci adagiamo su altre certezze. La prova del Dna fino a poco fa era considerata inattaccabile, oggi il processo a Bossetti ci dice che può venire messa in discussione. Nessuno strumento, per quanto affinato, porta a verità assolute".

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