Ghedina, l’ultima discesa: «Dipende da come mi alzo»

«E poi per farmi arrivare al podio occorre che la schiena mi risparmi e un bel sole illumini la pista»

Paolo Marchi

nostro inviato a Sestriere

Inutile nascondersi dietro ai sogni: oggi Kristian Ghedina non parte favorito per l’oro olimpico e nemmeno per il podio. Ci sono troppi se da mettere in fila perché l’impossibile diventi realtà e allora con la ragione è giusto dire che gli statunitensi Rahlves e Miller possono firmare una doppietta che spegnerebbe la baldanza di un quartetto austriaco (Maier, Walchhofer, Fritz Strobl e Kroell) da tripletta, con il francese Deneriaz che ieri, terza e ultima prova, ha dimostrato vincendola di poterli sorprendere tutti.
L’ampezzano è rimasto ai margini, ha pure usato sci di riserva per capire i vari passaggi di una pista, la Kandahar Banchetta, che nel ’97 lo vide terzo ai mondiali. Lui aveva nove anni in meno, la testa era però la stessa, quella che lo ha fregato in questi 18 anni di coppa del mondo. È l’italiano che ha vinto più libere (12 più un superG), ma «ho sempre sofferto l’importanza dei mondiale e, soprattutto, delle Olimpiadi». Ai mondiali due argenti (combinata ’91 e libera ’96) e un bronzo, ai Giochi quasi nulla: il sesto posto di Nagano ’98 resta il meno peggio, il 35° di Salt lake City quattro anni fa il peggio.
E così eccolo affermare che «se non vincerò finalmente una medaglia olimpica sarò ricordato come una meteora». Esagera. Una meteora è un fuoco di paglia, lui arde da quasi due decenni «ma avrei potuto vincere di più, intendo dire di una qualità superiore, però ho avuto tanti incidenti».
È come se Kristian, avuto alla nascita uno straordinario talento, l’avesse consumato per l’incapacità di rimanere freddo: «Sono nato scalmanato, una peste, sempre alla ricerca del pericolo. Adoro le auto e le moto, ho perso il conto delle volte che sono caduto». Il problema per lui diventa gestire l’esuberanza che lo porta spesso allo sbaraglio, come giovedì che ne dice di tutti i colori della pista del Sestriere, salvo dover chiedere scusa l’indomani perché non è «carino» che un azzurro carichi a testa bassa proprio un’edizione italiana dei Giochi.
E adesso che manca poco al mezzogiorno di gloria per pochi, i magnifici tre, e di niente per tutti gli altri, Ghedina cerca di rimettere insieme a 36 anni i se che potrebbero regalargli la giornata da leone: «La pista mi sta diventando simpatica e se mi sveglierò bene, se lascerò in albergo tutte le amarezze olimpiche, se il mal di schiena... , se limiterò i danni in alto dove il fondo è troppo ghiacciato per i miei gusti, se da metà lascerò andare gli sci, se la visibilità sarà ottimale perché io non ci vedo bene senza sole, se tutto questo mi sorriderà, mi regalerò quella medaglia che mi è sempre mancata.

Avrei un ultimo se: se ci fosse un mago che mi ridà una schiena nuova, continuo fino a Vancouver 2010. In verità finirò qui e se resterò giù dal podio, mi consolerò con le parole di mio padre Angelo: nella vita l’uomo viene prima del campione».

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