Emiliano Leonardi
In un fazzoletto di terra posto a due passi dallex ufficio di collocamento, dentro al complesso di Villa Lazzaroni, cè una pista di pattinaggio ormai abbandonata, che nessuno più cura ormai da anni. Ogni tanto qualcuno ci si apparta, ma certo non per pattinare, sarebbe impossibile, fra tanta sterpaglia e il ciarpame, far scorrere le rotelle dei pattini su un mattonato ingrigito dal tempo e dagli agenti atmosferici.
Spente le luci dei riflettori sulla novità di una «delegazione» (allora il Municipio si chiamava così, ndr) sontuosamente spostata da via Tuscolana fino allinterno del comprensorio della villa che si affaccia su via Appia Nuova, il fiore allocchiello della zona, larena circolare del pattinaggio, è ormai appassito.
E dire che intere generazioni dellAppio-Tuscolano sono cresciute «in villa», hanno allevato i loro figli, e magari vorrebbero apprestarsi a coccolare anche i nipoti in uno dei pochi luoghi verdi, almeno sulla carta, dellarea sud-est della Capitale. Impresa difficoltosa, se solo si appura lattuale stato di salute dellarea. Dallo slalom fra gli escrementi di cani privi di padroni coscienziosi ai profilattici, dalle panchine, smontate, divelte, scarabocchiate e persino vittime di chewingum ai più impensabili rifiuti che fanno da cornice al percorso che conduce fino a via Tommaso Fortifiocca, Villa Lazzaroni è diventata una sorta di refugium peccatorum di tossici, sbandati, animali randagi e quantaltro.
Fra laltro, fino a poco tempo fa esistevano persino strutture accattivanti per i bambini e quella pista di pattinaggio - lunica omologata del IX municipio - era una delle poche con caratteristiche «da gara» allombra del Cupolone.
In breve, un luogo di aggregazione cancellato con il passare del tempo e a causa della disattenzione degli organi competenti. Lucia Panniglia, oggi editore e responsabile del progetto Ables, il magazine sociale istituzionale della città, deve ad esempio molto a quella arena per pattinatori.
Lei stessa, mamma di Christian, un ragazzo con alcuni problemi fisici, è stata per un quinquennio (dal 1994 al 1999) presidente della consulta dei servizi sociali della zona, e oggi sottolinea come il pattinaggio abbia aiutato «mio figlio a crescere, a maturare, a confrontarsi con gli altri. Mi dispiace vedere la pista in quelle condizioni, e ogni volta che passo lì davanti penso che magari con il piccolo sacrificio di uno sponsor, la si potrebbe ricominciare a far vivere. E coinvolgendo le scuole della zona si riuscirebbe addirittura a ringiovanire uno spazio datato».
Certamente la signora Panniglia non ha tutti i torti, un finanziatore rappresenterebbe la soluzione più facile per accorciare i tempi e cominciare a lavorare per far tornare la pista ai tempi belli.
Del resto, larena circolare (che fra avvallamenti e rigonfiamento pavimentale sembra più una tappa della Parigi-Dakar che una pedana per sgommate e piroette sui pattini) necessita interventi immediati, e non può attendere i tempi della burocrazia politica capitolina.
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