Un giallo che sa di piadina e di amaro veleno di prugne

Il noir d’esordio di Luca Ciarabelli ci racconta un’insolita Ravenna piena di afa, misteri e delitti. Ma a stupire non è la trama quanto il gusto dell’invenzione linguistica

Il giallo ambientato nell’Italia delle piccole città, e colorito di vernacolo non è una novità per il nostro panorama editoriale. E spesso è un modo come un’altro di racimolare qualche copia, contando sul fatto che i lettori, innamorati del proprio borgo, si fiondino in libreria per acquistare un libro con delitto che abbia la toponomastica la più familiare possibile. Il romanzo d’esordio Luca Ciarabelli, “Il bambino che fumava le prugne” (Il Maestrale, pagg. 239, euro 15) non entra, però, in questa categoria. E’ un poliziesco all’apparenza dall’impianto classico ma densissimo di sorprese. Ecco la trama, in soldoni e senza svelarla troppo. Da sedici anni e sette mesi il tenente Bonarroti (che di nome fa Santo Ateo Miserino) vive solo, insonne e male integrato, in una Ravenna (molto immaginifica) caratterizzata da un’umida e perpetua calura. Una Ravenna dove non succede mai nulla. Tanto che il tenente ha un sacco di tempo per studiare la filosofia di Boezio e per recarsi a pescare nelle paludi con un vecchio stregone, noto come “E Zambute”.

Poi di colpo eccolo: il cadavere. Nella chiesa di Sant’Apollinare viene scoperto il cadavere di Asmodeo Baldini, archeologo dilettante. Morto stecchito a causa di un antico veleno prodotto con i noccioli di prugna. Così Santo Ateo Miserino Bonarroti ha finalmente qualcosa su cui indagare, in una sciarada fatta di: Tombaroli, criminali da strapazzo, misteriosi fantasmi femminei, antiquari supponenti e cittadini pigramente indifferenti. Non sveleremo proseguendo il finale. Piuttosto lasciando perdere la trama ci dedicheremo all’ordito. Ciarabelli riesce per tutto il testo a creare bellissime atmosfere usando la parola. Alterna con destrezza dialetto e prosa scorrevole creando una gran bella alchimia. Insomma da prova di essere un autore acerbo ma con un bel potenziale. Così, alla fine, non si ha l’impressione di aver letto un libro di nicchia ma un bel romanzo.

Certo non mancano i problemi di dentizione e non ogni trovata è perfetta. Ma ogni tanto, anche scordandosi assassini e reperti antichi, si finisce per leggere per il puro gusto di farsi portare dalla prosa.

Magari di Ciarabelli risentiremo parlare. Soprattutto se continuerà a scommettere sulla sua vena più surreale, quella che può trasformare un tenete dei carabinieri in molto di più (ma abbiamo già detto che il finale non si svela).  

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