Sembra avvitarsi sempre più su se stessa la crisi politica afghana: Abdullah Abdullah, lo sfidante del presidente Hamid Karzai nonché suo ex ministro degli Esteri, dopo una giornata di annunci e smentite, avrebbe deciso di non boicottare il ballottaggio del secondo turno delle elezioni presidenziali, in programma per sabato. Dopo le prime indiscrezioni («Abdullah rinuncia al ballottaggio ed è pronto a denunciare Karzai») fatte trapelare da suoi stretti collaboratori e subito rilanciata da diverse autorevoli fonti giornalistiche, tra cui la Cnn, in serata è arrivata la smentita: «Niente boicottaggio». La retromarcia è stata fatta trapelare poche ore dopo il commento del segretario di Stato Usa Hillary Clinton: «Non credo che questa decisione abbia nulla a che fare con la legittimità delle elezioni. È una scelta personale che può essere fatta o no», ha detto, aggiungendo che quindi il ballottaggio «sarà legittimo anche in caso di un eventuale boicottaggio di Abdullah».
Ieri sera ledizione online del New York Times affermava che dopo una riunione a Kabul tra un rappresentante di Abdullah e lo stesso Karzai, con la richiesta di prendere misure nel ballottaggio del 7 novembre che impediscano una ripetizione delle frodi avvenute in agosto, lex ministro degli Esteri sarebbe giunto alla conclusione della inutilità di un nuovo ballottaggio. Dopo unaltra riunione, infine, lennesimo dietrofront ma la decisione ufficiale è comunque attesa per oggi.
Quel che è certo è che oggi Abdullah parlerà ufficialmente al popolo afghano. Resta da vedere se nellannuncio che farà oggi denuncerà pubblicamente Karzai, col rischio di infiammare ulteriormente una situazione che si presenta già esplosiva. Ieri infatti è scaduto lultimatum che Abdullah aveva posto lunedì a Karzai, chiedendo la rimozione del responsabile della commissione elettorale indipendente e di tre ministri, tra cui quello degli Interni, da lui considerati responsabili delle diffuse frodi che hanno marcato il primo turno delle presidenziali, il 20 agosto scorso. Condizioni che il presidente, seppur non ufficialmente, ha già respinto.
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