RomaLultima fatica editoriale di Gianfranco Fini è un inno al maanchismo di Veltroni. Sforzo vano cercare una posizione netta e chiara sui principali temi politici trattati nel libro «LItalia che vorrei», edizioni Rubbettino, da ieri in libreria. Lultimo capitolo del finismo sta tutto nelle trecento pagine rese pesanti come il piombo da una prosa che dire ingarbugliata è un eufemismo. Parlare parla bene, Fini. Ma scrivere... Nel libro si legge, prime righe del primo capitolo: «Il tema della identificazione di un nucleo di valori e di princìpi supremi, così inscindibilmente legato alla capacità di un ordinamento costituzionale di imporsi e farsi valere, ma anche di assicurare effettivi ambiti di libertà e di autonomia, si colloca, senza alcun dubbio, al centro di ogni ricostruzione sistematica operata dalla scienza del diritto costituzionale». Sbadigli.
Il mio Fli, si affanna a dire Gianfranco negli ultimi tempi, è stabilmente ancorato nel centrodestra. Peccato che la prefazione alla sua ultima Bibbia non labbia scritta un Fisichella o un Campi ma il «dottor Sottile» Giuliano Amato, ex Psi, ex Ulivo, ex Pd. Ma pazienza. LItalia che vorrebbe Gianfranco è un po destra un po sinistra, un po federale un po centralista, un po liberale un po socialista, un po garantista un po giustizialista. Insomma, non si capisce un granché. Sullimmigrazione, per esempio. Una società moderna può decidere di chiudere le proprie frontiere? La risposta è sì. Ma anche no. «Molte delle restrizioni sono oggettivamente giustificate e giustificabili... Ma bisogna ascoltare le richieste di coloro che bussano alle porte». Poi, via a cavalcare il nuovo mito della cittadinanza breve: «Lapplicazione dello ius soli al figlio di stranieri... non appare eccessiva».
Sul federalismo, bandiera del Carroccio su cui sputa veleno, Fini arriva a riconoscere che è «la riforma che rappresenta in fondo la madre di tutte le altre». Ma anche no. Perché «sono in gioco valori fondamentali come la coesione sociale del Paese, intesa come garanzia di universalità delle prestazioni essenziali da assicurare senza discriminazioni geografiche a tutti i cittadini». E ancora: «I festeggiamenti del 150° anniversario dellUnità dItalia offrono... una irripetibile occasione per richiamare lattenzione di tutti sul significato dellunificazione e sulla necessità di salvaguardare questo inestimabile patrimonio di valori, combattendo tutti i fattori di disgregazione».
Anche sulla giustizia il presidente della Camera traballa tra le posizioni pidielline e piddine: «Recuperare efficienza, credibilità e fiducia nel sistema giudiziario italiano è una questione vitale per la democrazia, un vero e proprio imperativo categorico per tutte le istituzioni». E via ad attaccare la giustizia lumaca, «intollerabile come evidenziano alcune prestigiose istituzioni internazionali». Fini ce lha con i pm politicizzati perché «lobbligatorietà dellazione penale è affidata alla discrezionalità dei pubblici ministeri nella scelta quotidiana della miriade di reati da perseguire». Ma anche no. Infatti «la nostra giustizia non è ingiusta e le garanzie costituzionali sono assicurate anche nel diritto vigente e le nostre leggi sono apprezzabili e giuste». Separazione delle carriere? Sì ma anche no. «Sarebbe opportuno realizzare una chiara separazione delle carriere fra magistrati requirenti e giudicanti».
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