Il «Gianni Schicchi» di Woody Allen conquista i Due Mondi

SpoletoDel Gianni Schicchi «americano» per la regia di Woody Allen, esordiente nella lirica sapevamo abbastanza, prima ancora del suo sbarco a Spoleto, per inaugurare il 52° Festival dei Due Mondi. Le notizie erano rimbalzate da Los Angeles, all’indomani della prima lo scorso settembre.
Venimmo a sapere che la regia di Allen voleva essere un omaggio al cinema italiano degli anni Cinquanta (Piero Germi, Vittorio De Sica, per intenderci), e che scene e costumi il regista li avrebbe affidati al suo storico collaboratore Santo Loquasto. Era anche trapelato che Allen avrebbe trasferito la vicenda dalla Firenze del Trecento al nostro Sud del 1946; e che di conseguenza il protagonista Gianni Schicchi, re degli imbroglioni, era un mafioso o un camorrista, di quelli che risolvono ogni problema dietro profumato compenso: capelli neri, impomatati, baffetto e doppio petto gessato scuro. Tolta questa licenza, Allen aveva promesso che avrebbe rispettato l’opera pucciniana, aggiungendo che la sua ignoranza in materia l’avrebbe reso più prudente.
All’indomani della prima di Los Angeles, pubblico contento e divertito ma critica non altrettanto. Allen non s’era affacciato in palcoscenico alla fine dell’opera, e tutti gli applausi se li erano presi interpreti e direttore, James Conlon.
Neppure a Spoleto Allen c’era, ma ha voluto mandare una cartolina video di scuse, proiettata su maxischermo al Teatro Nuovo prima dell’opera, promettendo di visitare Spoleto - che non conosce - in un prossimo futuro, ancora da regista o da semplice turista. C’era, in sua vece, l’artefice del coinvolgimento del regista, il tenore Placido Domingo. Il quale ha raccontato: di avere corteggiato Allen per una decina d’anni prima di convincerlo (prima in Bohème, poi nel Gianni Schicchi); che forse la loro collaborazione proseguirà con la prokofieviana L’amore delle tre melarance o addirittura un’opera nuova, dove lui, Domingo, potrebbe assumere il ruolo di protagonista.
Veniamo alla rappresentazione di Spoleto. La scena, unica, in bianco e nero, è come la produzione tridimensionale di un fotogramma dell’amato cinema italiano o del teatro di Eduardo De Filippo; e ci mostra l’interno di una casa napoletana o meridionale affastellato di oggetti, ritratti e immagini sacre; fuori, panni stesi; sullo sfondo una cartolina in bianco e nero di Firenze (svetta la cupola del duomo). Placido Domingo ha spiegato la ragione di tale trasposizione: in America qualunque nostro emigrato, le quattro o cinque parole italiane che ricorda le pronuncia con accento napoletano. Da qui l’idea che quest’opera italiana dovesse parlare «meridionale». Ma il tocco sapiente e leggero di Allen s’è visto in ogni momento della rappresentazione. Che attori, signori! Tutti, nessuno escluso. Recitazione senza sbavature, con ritmo e verve, e tic in abbondanza.

La direzione musicale affidata, a Los Angeles come a Spoleto, alla mano sicura di James Conlon, che aveva in buca l’ottima Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, ha sottolineato, dell’unica opera comica di Puccini, ogni sfumatura: umorismo ma anche sarcasmo, sensualità e anche tenerezza. Applauditissimi tutti e a lungo; in particolare, Thomas Allen nel ruolo del titolo; Laura Tatulescu (Lauretta, applaudita a scena aperta dopo O mio babbino caro) e Stephen Costello (Rinuccio).
Si replica stasera.

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