Riccardo Signori
nostro inviato a Francoforte
L’Argentina ci aveva abituati troppo bene: gol come piovesse. Stavolta ha messo tutti a digiuno, in attesa di tempi migliori e magari decisivi. Quinto zero a zero dei mondiali. Per il vero le reti, e la vittoria, servivano all’Olanda se avesse voluto evitare il Portogallo. Ma Van Basten non se n’è fatto un problema. Dice la sensazione che questa Olanda mira a un buon mondiale, l’Argentina molto di più. Ha fatto colpo, ma non fatto il colpo, la coppia new age: Tevez-Messi. Crespo e Saviola se la rideranno, sotto, sotto. Maradona continua a far spettacolo in tribuna e il pubblico pure. Il Waldstadion di Francoforte era esaurito, con bellissimi colpi di colore arancione e bianco azzurro. Almeno sulle tribune è sempre Oktober fest.
Se poi qualcuno chiedesse: ma il mondo del calcio in qualcosa è cambiato? Potreste rispondere citando questo dato del primo tempo di ieri sera. Possesso palla: Argentina 43 per cento, Olanda 57 per cento. Una volta gli argentini ti facevano sparire il pallone dagli occhi, tenendoselo sempre fra i piedi. Oggi sono frizzi e lazzi, scatti e accelerazioni. Messi schierato subito e che fa la parte di Maradona, gli altri la parte loro. Più bella l’Argentina, almeno più divertente nelle accelerazioni del «Pibe de ora», feroce nella voglia da gol di Carlito Tevez, sostanziosa nelle giocate di Maxi Rodriguez e di un centrocampo che deve trovare ancora equilibrio con Cambiaso e Mascherano.
Olanda più composta, solida, con quel tono giovanil-maturo che poi rispecchia il tipo di gioco: mai gazzosina ma pronta ad approfittare delle pause e delle defaillances avversarie. Un caso valga l’esempio: Burdisso zoppica e Kuyt ne approfitta per raccattare palla e sparare un tiro sulle mani del portiere. Che poi il mondo del pallone si sia capovolto, è dimostrato dal diverso atteggiamento del numero dieci. Numero sempre faticoso da portare, che fu di Maradona, Pelè e tanti altri. L’Argentina l’ha affidato a Juan Riquelme, perfetto regolatore di meccanismi calcistici e di calcio geometrico, sebben eccessivo nel cercare il personalismo e il tiro. L’Olanda a Rafael Van der Vaart, ventitre anni e un gioco tutto pepe.
In tutto questo ne è sortita una sfida senza le tensioni di un match da «dentro o fuori», un gruppetto di titolari in panchina, qualche rudezza, alcune raffinatezze, la voglia di Messi di entrare nella parte dell’enfant prodige, straordinario nelle accelerazioni di partenza dell’azione: più facile l’inizio che il resto della partita. Gli olandesi qualcosa hanno capito e lo hanno tenuto a bada. Lui ci ha provato, giocando come una scimmietta felice ad inseguire un pallone: prima palla fulminante in mezzo all’area per Cambiasso e Boulahrouz salva in scivolata. Poi sono scatti e scattini che mettono la tensione addosso ai difensori olandesi e Carlito Tevez approfitta per dire: ci sono. L’Argentina si diverte nel gioco, Tevez conclude a lato un’azione da calcio d’allenamento. Poi tenta una deviazione in scivolata, ma Boulahrouz mette piede in anticipo e manda sul palo. E l’Olanda sorniona ad aspettare l’attimo. Un po’ annebbiata nell’azione di Van Nistelrooij, spedito negli spogliatoi dopo 11 minuti della ripresa. Lacunosa in quella di Van Persie.
Difficile penetrare nella difesa argentina che non si tira mai indietro nel picchiare. L’arbitro ha lasciato perdere anche due occasioni che potevano chiamare un rigore: placcaggio di Milito su Ooijer e intervento dell’eterno maldestro, al secolo Fabricio Coloccini, sui piedi di Van der Vaart.
E mentre Carlito Tevez ha sparato un’altra delle sue bordate sulle mani di Van der Sar, ecco comparire anche Julio «el jardinero» Cruz. Spento Messi, Pekerman ha cercato sostanza più lineare. L’attaccante dell’Inter è servito a poco ed è stato poco servito, tanto che l’ultima occasione se l’è mangiata ancora Tevez. No, non era sera da gol.
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