Gino Paoli e la musica, una storia che attraversa cinquant’anni

Gino Paoli e la musica, una storia che attraversa cinquant’anni

Con il titolo di una delle sue bellissime canzoni si potrebbe dire: una lunga storia d’amore. Quella di Gino Paoli con la sua musica, visto che il cantautore festeggia i 50 anni di carriera con un nuovo album ricco di inediti («Storie») un concerto all’Auditorium di Roma il 21 gennaio e un tour. Una lunga carriera, la cui tappa più recente è anche una delle esperienze più belle della sua avventura artistica, Milestones, un incontro in jazz, un album in cui risuona il suo repertorio accanto ad alcuni dei migliori jazzisti italiani dal quale è scaturito una tournèe che, se è possibile, gli ha dato ancora più lustro. Testimonianza ulteriore della vitalità e dell’originalità di uno dei protagonisti più grandi della canzone italiana, un uomo dai molti interessi (è stato anche in Parlamento con il Pci ed è un pittore) che ha alle spalle una vita intensa e piena di alti e bassi, durante la quale ha conosciuto anche la deriva più autodistruttiva e perfino un tentativo di suicidio.
Gino Paoli è l’ultimo esponente in vita di quella scuola Genovese che, sul finire degli anni ’50 si è formata attorno a Luigi Tenco, Umberto Bindi, Fabrizio De André che ha cambiato la storia della nostra canzone, aprendola, con il contributo di Giorgio Calabrese e dei fratelli Reverberi, alle influenze degli autori e dei poeti francesi. Eppure proprio Paoli dice nel 1984 «La scuola genovese dei cantautori non è mai esistita enon esiste. Esiste invece la scuola della città di Genova». «Avevamo una gran voglia di fare insieme, di costruire qualcosa in cui credevamo - dichiarò più di 20 anni fa ricordando i suoi inizi - Eravamo visti da tutti come strampalati». Il successo non arrivò subito, basti pensare che La Gatta vendette solo 114 copie. Nel ’94 spiegò: «Non capivamo quello che facevamo. Uno dei pochi ricordi è il periodo in cui con Tenco e Lauzi vivevamo di musica e dividevamo tutto, solidali e complici, senza pensare che cantare potesse diventare lavoro». Una passione che, comunque, gli è costata in termini affettivi. Pensando al successo ottenuto in America Latina negli anni ’60, dichiarò: «Un giorno rientrai a casa e mio figlio di un anno non mi riconobbe come suo padre». È del 1987 l’ingresso in politica nelle fila del Partito Comunista: «Un tempo pensavo che la politica fosse qualcosa di sporco - ammise all’epoca - Tante volte ho rifiutato la candidatura, ma quest’ultima ho pensato di dover dare il mio contributo». Un impegno che però contemplava anche il contributo della musica: «Se necessario userò anche la musica - disse infatti -, che da sempre è provocazione e stimolo per il pubblico». Nel 1992 darà l’addio all’attività politica non essendo stato rieletto deputato nelle liste del Pds.

«Ho avuto anche una esperienza come politico, quando la politica non era un varietà come invece è oggi - ha raccontato due anni fa - Ho provato a far politica per essere al servizio della gente, ma poi ho capito che non sono adatto». Anche se Paoli si è sempre interessato ai temi di stringente attualità, come la legge sulla procreazione assistita, da lui definita «anacronistica, violenta, umiliante».

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