Dal gioco logoro al gruppo spento Il Milan vede più nero che rosso

Franco Ordine

Cinque motivi per vedere più nero che rosso. Uno solo per vedere rossonero, senza slanci eccessivi né depressione particolare. Cominciamo dal positivo: i numeri, che nel nostro calcio sono una guida, non risultano deficitari. Il Milan è da sei stiracchiato fin qui. In campionato ha realizzato, tra punti effettivi in classifica e penalizzazione scontata, un totale di 12. È l’identico fatturato presentato da Palermo e Roma, scudieri dell’Inter capolista. E in questa contabilità non viene conteggiata la striscia di torti arbitrali (almeno quattro clamorosi: gol buoni di Inzaghi e Pirlo, rigori negati a Pippo e Ambrosini). E qui finisce l’avventura del Milan Buonaventura, capace nell’estate post moggiopoli di dar credito alle promesse di un inseguimento rapido e indolore nei confronti dell’Inter.
Tutto il resto, nel Milan, funziona poco e in modo discontinuo. La fattura dei gol, per esempio. Se l’ultimo successo (contro l’Ascoli nel finale, a San Siro) e l’ultimo pareggio (sabato sera a Marassi) hanno la firma di due difensori esterni (Jankulovski nel primo caso e Kaladze nel secondo), l’allarme è più che legittimo. Poche storie: Inzaghi si è fermato a tirare il fiato, Gilardino si è perso, Oliveira è diventato presentabile solo in questa sosta, Kakà sta attraversando un periodo di crisi e dai centrocampisti più ispirati (Pirlo e Seedorf) il contributo alla causa buona e giusta del gol è ridotto ai minimi termini. Sul punto vale la pena ripetere una nostra opinione che ha cominciato a far proseliti: agli sbocchi offensivi soliti del Milan mancano i consistenti suggerimenti di Serginho e Cafu. E l’unico volto nuovo, Gourcuff, il francesino ammirato contro l’Aek, è fermo ai box per un infortunio scoperto in grave ritardo.
Terzo motivo: il gioco del Milan, mai rinnovato, ripetitivo, si è imbolsito. Le sue cadenze sono lente e perciò prevedibili. E quando gioca contro rivali schierati nella propria metà campo, che aspettano e ripartono occupando bene gli spazi (Livorno, Siena, Ascoli, Sampdoria), il controllo del pallone e il palleggio prolungato invece di aiutare moltiplicano gli affanni e accentuano i difetti della squadra disegnata da Ancelotti. C’è un altro aspetto, che è meno calcistico e più psicologico, da valutare: col passare delle settimane, il gruppo è come se avesse perso convinzione nei propri mezzi invece che acquistarla, coltivarla, trasformandola in un’arma segreta. E persino le motivazioni, così decisive per esempio al mondiale passato (trasformare i veleni di moggiopoli in energie positive), non hanno prodotto quel clima da crociata, uno per tutti, tutti per uno a Milanello. Certi episodi sono la spia di un fenomeno: il cicchetto di Seedorf, sabato sera, nei confronti di Kakà, per citare l’episodio più recente.
Il quinto motivo resiste nelle scelte di calcio-mercato. A centrocampo, per esempio, è stato ripreso Brocchi e lasciato partire Vogel senza tener conto che Ambrosini (assente anche a Bruxelles per l’ennesimo acciacco muscolare) è una pedina persa e che il reparto andava cementato con un altro elemento di maggior affidamento.

In difesa stessa emergenza, con la fragilità muscolare di Favalli che ha ingigantito l’inadeguato contributo di Jankulovski. Nel giro delle prossime due settimane il Milan può scivolare ancora più indietro: Palermo, Chievo e derby sono tre passaggi delicatissimi. E da oggi c’è da mettere al sicuro la qualificazione di Champions league.

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