Milano Difficile dire se l’incubo sia finito. «Purtroppo in questo Paese bisogna essere pronti a tutto e leggo già di altri ricorsi da parte di avversari...» si sfoga Roberto Formigoni, poco dopo la decisione del Tar che ha riaperto i giochi elettorali. Ma per il momento il presidente della Regione Lombardia è allegro e soddisfatto, non solo perché il Tar ha riammesso lui e il suo listino, ma anche perché ha sconfessato chi aveva tentato di escluderlo dal voto: «Non siamo in competizione per grazia ricevuta. Ce l’abbiamo fatta da soli, senza nessun aiutino. Non siamo stati salvati, eravamo stati espulsi per un errore dell’arbitro. C’è stata la moviola e si è visto che il fallo è stato fatto non da noi, ma dalla squadra avversaria».
Formigoni spiega che il decreto non è stato necessario per ripescare il candidato né il listino né le liste di Pdl e Lega. Eppure «è uno spettacolo miserando vedere che alcune forze di sinistra si scagliano contro un provvedimento che nasce dalla concertazione delle due massime cariche dello Stato, attaccando con pesanti insulti il capo dello Stato e arrivando addirittura a parlare di impeachment».
In questi giorni il governatore si è tenuto in contatto un po’ con tutti, con l’obiettivo di risolvere l’emergenza e tenere compatta la coalizione, che dava evidenti segni di tensione. «Appena ho potuto parlare con i legali, ho subito avuto la sensazione di una procedura irregolare» racconta. Era così sicuro di aver subito un’ingiustizia da parte della Corte d’Appello e che tutto si sarebbe risolto in una vittoria giudiziaria da rifiutare il soccorso di Palazzo Chigi: «Ho mandato informative ai massimi organi dello Stato, mi sono continuamente consultato con loro e avevo chiesto di posticipare il decreto a dopo la sentenza del Tar».
Poi gli eventi si sono sovrapposti, il decreto è arrivato mentre le sue convinzioni sono diventate un’ordinanza messa nera su bianco dalla magistratura amministrativa lombarda: «Il Tar ha riconosciuto che la nostra lista è sempre stata in corsa e che non era fondata l’esclusione». E il ricorso al Consiglio di Stato da parte del suo avversario, Filippo Penati? «Non credo abbia la lingua biforcuta, aveva detto che non l’avrebbe fatto e credo che non lo farà». Conclusione allegra e spavalda: «Abbiamo dimostrato di avere perfettamente ragione. La decisione della Corte di Appello di Milano ha leso il nostro legittimo diritto di partecipare alla competizione elettorale in una regione dove governiamo da 15 anni e i sondaggi ci danno al 60% delle preferenze».
Nell’attesa, ha cercato di continuare come se quasi nulla fosse. Un sabato di ordinaria campagna elettorale, tra la posa della prima pietra in un ospedale della val Camonica e la visita al nuovo reparto di cardiologia di un altro ospedale in Valsabbia, la notizia del via libera gli è arrivata in macchina, di ritorno da Brescia, dove ha incassato la medaglia di «galantuomo dell’agricoltura». Una telefonata e via all’incontro con i vertici lombardi del Pdl.
Soddisfatto Ignazio La Russa: «Il Tar mette la parola fine alle false polemiche dell’opposizione. Ma mi meraviglia che chi fino a ieri diceva di volere trovare una soluzione politica oggi parli addirittura di golpe». E anche se è stato proprio il fratello del ministro, Romano La Russa, candidato alle Regionali, a polemizzare con gli alleati del Pdl («Msi e An non facevano questi errori banali» ha detto durante un appuntamento elettorale a Milano), la volontà generale è di rasserenare gli animi e tornare a parlare di politica.
Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione ed ex coordinatrice regionale del Pdl, difende i dirigenti del partito: «Leggerezze nostre? No, c’è stato un accanimento nei controlli. Conosco i funzionari che da quindici anni fanno questo lavoro ed errori non ce ne sono mai stati».
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