Giordano non convince i suoi: ora teme altri «casi Cacciari»

da Roma

La lettera è arrivata ieri. La firmano cinquanta dirigenti veneti di Rifondazione, è indirizzata al segretario Giordano, e affronta il caso più delicato che tormenta il partito in queste ore: le dimissioni di Paolo Cacciari, «obiettore di coscienza» che ha lasciato la sua tessera di deputato in Aula, ha dichiarato l’impossibilità di votare secondo l’indicazione di partito, e ha rassegnato il mandato nelle mani del segretario. Una bella gatta da pelare, una pericolosa breccia nell’equilibrio di Rifondazione, perché il voto al Senato è alle porte, e potrebbero ripetersi altri casi Cacciari. Scrivono i dirigenti veneziani: «Carissimo segretario, non è per ritualità che ti inviamo queste poche righe, ma per l'autorevolezza che ti riconosciamo. Le dimissioni del compagno Cacciari sono un atto politico la cui rilevanza non sfugge a nessuno, né ci sfugge la necessità di dare corso alle decisioni collettivamente assunte dal Partito».
È un testo che va letto in controluce, con attenzione. Perché formalmente i dirigenti veneti dicono di sostenere in maggioranza le posizioni della segreteria. Ma subito dopo affermano che esistono molte posizioni diverse, e anche molte attestazioni di solidarietà per i ribelli. Nel codice della lingua politica, dunque, è una lettera che oggettivamente rafforza le posizioni dei dissidenti: «Gran parte di noi - scrivono infatti i cinquanta dirigenti - ha sostenuto e sostiene la risoluzione del Partito anche sulla difficile questione dei rifinanziamenti delle spese per le missioni militari e quindi ritiene la scelta di non votare un errore politico, altri hanno espresso posizioni diverse, ma tutti riteniamo le affermazioni di Paolo Cacciari come parte integrante della nostra cultura politica, della nostra storia, della nostra sensibilità». Poi il passaggio cruciale: «Non abbiamo la necessità di aggiungere null'altro: lo spessore politico e personale del compagno Cacciari e la sua grande capacità di iniziativa reale, che ha fatto di lui un riferimento irrinunciabile ben oltre il nostro territorio, ti sono ben noti. Siamo convinti che il Presidente della Camera respingerà le dimissioni, ma siamo altresì convinti che il nostro segretario nazionale agirà con determinazione per chiedere al compagno Paolo Cacciari di rimanere al suo posto, conclude la missiva». Perché questa lettera è tanto importante in queste ore? Perché chiede di non prendere nessun provvedimento nei confronti del deputato. E perché oltre a Cacciari ci sono altre quattro deputati che alla Camera due giorni fa non hanno seguito le indicazioni di partito. Un’altra, Matilde Provera, ha già pubblicamente dichiarato che non voterà più, altri due al Senato si preparano a fare altrettanto. Insomma, mentre Giordano ripete che non ci saranno sanzioni per i ribelli, il rischio è che il precedente allarghi «la rivolta» a macchia d’olio, legittimi il dissenso su una scelta strategica, catalizzi le simpatie intorno a chi vota no al disegno di legge del governo sull’Afghanistan. E questo Rifondazione non se lo può permettere. E la notizia che il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha calendarizzato il dibattito sulle dimissioni di Cacciari lo stesso giorno del voto al Senato, dice molto sul tentativo di chiudere rapidamente la questione.
Fra i dirigenti della prima fila, per ora, quello più netto, o quello che dimostra di avere la percezione più chiara del pericolo pare il capogruppo Gennaro Migliore, che in barba al coro di solidarietà politicamente corrette, commentava la tenuta del suo gruppo: «Passione politica ne abbiamo tutti, sia quelli che votano a favore, sia quelli che votano contro. Temo però che alcune... “passioni” siano alimentate a tavolino». Perché? «Perché c’è una partita interna delle minoranze che approfittano di questa situazione per combattere la loro battaglia interna contro la maggioranza. È un calcolo miope. Anche perché ieri alla Camera hanno danneggiato il partito. Martedì al Senato potrebbero danneggiare il Paese». Non è un mistero che il rischio peggiore paventato dal vertice di Rifondazione è che i dissidenti siano decisivi per far venire meno una maggioranza autosufficiente all’Unione.

Per questo Migliore parla di «vigilata preoccupazione». Preoccupazioni che potrebbero trasformarsi in paura se nelle prossime ore, sull’onda d’urto dei «gran rifiuti», anche il consenso a denti stretti della base dovesse iniziare a vacillare.

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