«Giorgini è caduto con l’auto nel lago»

La polizia è pronta a giurarlo: dal punto di vista investigativo (e non solo) è stato fatto il possibile e l’impossibile. La scomparsa di Aurelio Giorgini, però, continua a restare un enigma. Al punto che il caso di questo imprenditore milanese - che compirà 62 anni il prossimo 9 luglio e che non dà più notizie di sé dal 23 marzo scorso, durante un viaggio in Svizzera a bordo della sua Smart grigia probabilmente - non è nemmeno un caso, ma il risultato di una semplice, crudele fatalità. Della quale anche la famiglia dovrà lentamente e con immenso dolore prendere atto. Decisivi in questo senso sono state i risultati delle ricerche degli elicotteristi dei vigili del fuoco di Varese. I pompieri - insieme a carabinieri, polizia e guardia forestale - in questi mesi hanno impiegato infatti oltre 400 uomini lungo le rive del lago Maggiore per le ricerche di Giorgini tra il varesotto e il canton Ticino. E, partendo da un campo base montato a Maccagno (Va), hanno perlustrato boschi e sentieri di montagna lungo la statale 394 che porta al confine elvetico oltre il quale, a Piazzogna, viveva l’imprenditore. Il risultato è che ora più che mai i vigili del fuoco sono convinti che la piccola vettura di Giorgini possa essere semplicemente finita nelle acque lacustri in seguito a un incidente. «Accade molto spesso che le acque del lago non restituiscano più nulla - spiegano gli stessi pompieri -. È un luogo comune pensare che, prima o poi, le auto finite nel lago tornino a galla. Non è così». E a chi ribatte che la discesa della Smart lungo le impervie rive del Maggiore avrebbe dovuto lasciare almeno qualche traccia, ribattono che le ridotte dimensioni della vettura non escludono non solo che abbia lasciato «segni» tra la vegetazione, ma anche che il volo fatto l’abbia catapultata direttamente o quasi nel lago.
Gli investigatori della squadra mobile ne sono quasi certi: non passerà molto tempo prima che il pm Angelo Renna derubrichi la vicenda da sequestro di persona (questa è l’attuale ipotesi di reato) a semplice sparizione. Del resto loro stessi hanno battuto ogni pista. Innanzitutto hanno interrogato a Palermo un vecchio socio del manager con il quale c’erano stati attriti, querele incrociate e anche gesti non proprio distensivi. Ebbene l’uomo è risultato completamente estraneo a qualsiasi tipo di coinvolgimento legato alla sparizione di Giorgini. Dal canto suo l’imprenditore scomparso quando, una decina d’anni fa, aveva compreso che fare affari in Sicilia poteva rivelarsi non solo improduttivo ma anche pericoloso, si era ritirato di buon grado. Anche il recente acquisto dei diritti per la creazione di un brevetto per un apparecchio per la scansione di radiografie e documenti sanitari si stava rivelando un mezzo fallimento. «Non c’erano acquirenti di livello - spiegano alcuni collaboratori del manager scomparso -. Aurelio aveva grandi idee.

Purtroppo non tutto ciò che avrebbe desiderato realizzare era fattibile». In questo senso parla da sé la situazione economica non esattamente florida in cui quest’uomo - adorato dalla splendida moglie e dai due figli - avrebbe lasciato la sua famiglia.

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