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Il Giornale sfratta Fini: deve lasciare E pure il Corriere vuole le dimissioni

Dalla prima segnalazione via mail alle ricerche sul campo nel Principato. Le carte confermano: la casa di An è stata svenduta al cognato del capo. Gli indizi sono aumentati giorno dopo giorno, fino a diventare prove certe. Il timbro ufficiale arriva da Santa Lucia. Ora almeno rispetti la parola data e molli la poltrona. Pure il Corsera contro Fini: "Così non rappresenta decorosamente Montecitorio". E' l'epilogo. SONDAGGIO Adesso cosa farà Fini?

Il Giornale sfratta Fini: deve lasciare 
E pure il Corriere vuole le dimissioni

È finita. La prova c’è. I conti tornano. I tanti indizi raccolti in sei mesi completano il puzzle. L’inchiesta del Giornale può dirsi conclusa. È la seconda decade di luglio quando in redazione, a Milano, arriva la mail di una nostra firma storica, Livio Caputo, che riferisce delle confidenze di un amico a Montecarlo su un appartamento donato da una contessa ad An e finito, chissà come, nella disponibilità di «Tulliani». Di buon’ora Feltri e Sallusti chiamano il sottoscritto, neo papà, in vacanza. Lapidari: «Apri il pc, c’è posta per te. Leggi e richiama». La mail con allegata l’informazione di Caputo sostiene una tesi all’apparenza folle: un immobile del valore stimato di due milioni di euro è stato svenduto nel 2009 alla società inglese Timara Ltd. Dentro ci vivrebbe Elisabetta, la compagna di Gianfranco Fini, perché sul telefono c’è scritto Tulliani. Leggo e rileggo la mail prima di venire interrotto dal trillo del cellulare. Di nuovo Sallusti. «Lo so quello che pensi, anche a noi sembra pazzesco, non possono aver combinato questo pasticcio in modo così plateale. Non si sa mai, andiamo a vedere».
Andiamo. Vado. L’indomani a Milano il primo incontro: un cittadino italiano residente nel Principato (citato nella mail di Caputo) conferma: «C’è questo appartamento della contessa Colleoni che da anni provo ad acquistare, ho fatto anche offerte al partito, mi hanno detto che non era in vendita e poi, all’improvviso, scopro che l’hanno venduto, che stanno facendo i lavori, che c’è un ragazzo che dirige la ristrutturazione. Mi metto l’anima in pace, e lascio perdere. Quando però leggo “Tulliani” sul citofono capisco tante cose, m’incazzo e mi appunto il nome Timara scritto sul cartello dei lavori...».
È il primo, seppur timido, riscontro. Il resto proviamo a recuperarlo a Montecarlo, patria della riservatezza e del segreto bancario. Un veloce sopralluogo nel palazzo al 14 di Boulevard Princesse Charlotte conferma l’esistenza della scritta Tulliani su citofono e sul campanello di casa. A fatica rintracciamo chi ha fatto i lavori nell’appartamento, chi li ha coordinati, chi ha pagato e a chi (una società estera). Disturbiamo con gli inquilini che ci confermano d’aver visto Fini e una «bella signora bionda», spiegando però che al piano terra abita un ragazzo che fa il figo in Ferrari. Parliamo con l’amministratore del condominio, battiamo le agenzie immobiliari del circondario, rintracciamo operai un tantino omertosi (che qualcosina però si lasciano sfuggire) e alla fine prendiamo visione del testamento olografo della discendente del condottiero Colleoni che si fidava di Fini tanto da lasciargli un ingente patrimonio.
Il puzzle inizia a prendere forma anche perché registriamo più proposte d’acquisto respinte al mittente dai tesorieri del partito. Il prossimo passo? Suonare a casa Tulliani. Detto, fatto. Driiin. «Chi è?». «Buongiorno, sono Chiocci del Giornale. Mi può aprire? Le vorrei chiedere una cosa...». Silenzio. Il campanello squilla di nuovo, ancora silenzio. Togliamo le tende diretti all’hotel. All’appuntamento con un funzionario locale, amico di amici italiani, che giura di sapere molto della casa abitata da «Tulliani», troviamo invece la polizia, chiamata dall’inquilino reticente. Gli agenti circondano l’albergo Novotel, dal bar mi trascinano fuori per interrogarmi altrove. Domande su domande sul perché ci interessa tanto monsieur Tulliani. Il faccia a faccia con gli ispettori della Sûreté Publique viene bissato nel pomeriggio, stavolta in commissariato, con passaggio nei sotterranei per la foto ricordo: «Si metta davanti all’obiettivo». Clic. «Adesso di profilo». Clic. Vengo invitato a lasciare il Principato.
L’indomani, 27 luglio, lo scoop è in edicola: «Fini, la compagna, il cognato e una strana casa a Montecarlo». A cascata le prime carte sulla compravendita vedono la luce. Si legge della cessione a prezzi stracciati (appena 300mila euro) della casa a una off-shore del paradiso fiscale di Saint Lucia, che l’ha rivenduta a un’altra off-shore gemella, creata, come la prima, solo a pochi giorni dell’affare immobiliare. Nomi, date, finanziarie estere, contratti, teste di legno. Vien fuori di tutto, un quadro inquietante che autorizza a pensar male. All’ufficio del registro monegasco, intanto, i colleghi Stefano Filippi e Massimo Malpica scartabellano nei fascicoli e ricostruiscono il gioco dell’oca societario. Ogni giorno è un giorno nefasto per Fini e per i suoi fedelissimi, che negano l’evidenza e si smentiscono a vicenda. Il presidente della Camera non parla mai, e quando parla (senza contraddittorio) si dà la zappa sui piedi rivelando cose che non dovrebbe/potrebbe sapere.
La procura è costretta ad aprire un’inchiesta solo perché glielo impone un esposto della Destra. Fini si appella continuamente ai pm, minaccia querele ogni due per tre. Sente il terreno franare sotto i piedi quando il notaio che stipulò l’atto confida al nostro Lorenzetto i dubbi di una compravendita a dir poco sospetta. Trema nel momento in cui due impiegati del mobilificio romano Castellucci ammettono di aver visto Fini e signora interessarsi all’acquisto di mobili e cucina da portare all’estero. A Montecarlo? Macché, quella cucina di cui pubblichiamo i moduli su carta e finanche la cedola d’acquisto «è a Roma, perché a Montecarlo nemmeno c’entra» ironizza Lui per bocca dei seguaci del Fli. È così? Certo che no. A fine settembre il Giornale gli farà fare una figuraccia pubblicando prima la mappa della casa (dove la cucina c’entra al centimetro) eppoi le foto della stessa Scavolini installata nel Principato. Il Nostro non apre bocca, per pietà, quando pubblichiamo la bolletta del cognato domiciliata a casa di mr Walfenzao, il dominus caraibico dell’intrigo immobiliare. Non fiata quando vede sul Giornale il contratto d’affitto con le stesse identiche firme dalla parte del locatario e del locatore che secondo una consulenza da noi commissionata a due periti calligrafici appartengono a Giancarlo Tulliani. Mastica amaro leggendo dell’ambasciatore che si è messo a disposizione totale del cognato eccellente. Perde definitivamente la parola, e la pazienza, con l’uscita delle prime indiscrezioni dai Caraibi. Balbetta coi fedelissimi allorché in edicola si accorge delle mail che Elisabetta, la sua fidanzata, spedisce all’imprenditore Garzelli per modificare il progetto della casetta monegasca.

A dimostrazione che pure lei sapeva. E siccome dell’affaire a Montecarlo, sapeva, e quanto sapeva, il fratellino con la Ferrari, su Montecarlo resta una cosa sola da capire: ma Gianfranco Fini c’è o ci fa?

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