La giornata Il primo Consiglio dei ministri

RomaUn «ghe pensi mi» in versione chic. «Certo che ci devo pensare, sono qui per questo», risponde infatti Monti all’uscita di Montecitorio dove una piccola folla lo applaude e una donna lo incita: «Ci pensi lei, presidente». Monti ha da poche ore sciolto le riserve che sono state tante, tantissime. Ore traumatiche quelle passate al Quirinale, dove il neo senatore è giunto alle 11 pieno di dubbi. Al di là dei veti contrapposti dei partiti, Monti avrebbe preferito qualche politico in squadra: sorta di polizza d’assicurazione sulla vita del suo esecutivo. Ma l’accordo non s’è trovato e il premier in pectore ha tentennato fino all’ultimo all’idea di vita a un esecutivo tutto tecnico. Così, il parto del suo governo è stato travagliato e lunghissimo: quasi due ore e mezza per la nascita di un governo privo di colore politico. Alle 13 e 30 il primo vagito con la lista dei nomi in squadra e la prima piccola bugia: «Sono arrivato alla conclusione che la non presenza di personalità politiche agevolerà, piuttosto che ostacolare, il solido radicamento in Parlamento e le forze politiche perché toglierà loro motivo di imbarazzo».
Poi, la spiegazione del travaglio-fiume: «Il tempo, necessario per stilare la lista dei ministri, lo è stato soprattutto per il convincimento mio e per l’esposizione al capo dello Stato circa una determinata struttura, ad esempio che l’Economia e le Finanze appartengono al presidente del Consiglio». Tutto sulle spalle. Poi, proprio mentre sulle agenzie di stampa rimbalzavano i paletti dei vari partiti, compreso quella della Camusso, l’auspicio del premier: «Spero che il mio governo possa dare un contributo al rasserenamento e alla coesione visto che si sta uscendo da una fase in cui ci sono state difficoltà esasperate tra le forze politiche» e una rassicurazione: «È stato così interessante e impegnativo arrivare» alla compilazione della lista dei ministri che «non prenderò in considerazione» eventuali ingressi di esponenti politici nell’esecutivo in un secondo momento. I partiti staranno fuori dalla porta di palazzo Chigi finché dentro ci starà lui.
Sul programma, invece, il neo premier tiene ancora le carte coperte. A una domanda sulla patrimoniale, Monti glissa: «Se vuole lei può chiederlo...», risponde a una cronista; mentre sulla riforma delle pensioni annuncia: «Per quanto riguarda il programma, se ne parlerà domani (oggi, ndr) quando lo esporrò di fronte alle Camere per ottenere la fiducia». Il premier ha poi voluto rivolgere un «cordiale saluto» a Berlusconi «con rispetto e attenzione per l’opera da lui compiuta». Differenze ma anche continuità con l’azione del governo precedente perché, dice il presidente del Consiglio: «Occorre mettere al centro le iniziative per la crescita economica». Quello che il Cavaliere ripeteva da mesi. E che Monti non sia ostile al berlusconismo ce lo ricorda anche Dagospia che è andato a ripescare un’intervista del 2005 nella quale il professore parlava così del Cavaliere: «Non abbiamo mai avuto difficoltà di dialogo nelle non numerose occasioni in cui ci siamo incontrati. È una persona di prorompente cordialità». E sulle celebri battute del Cavaliere: «Anche se sono incapace di ricordarle e di raccontarle, le barzellette mi piacciono. E Berlusconi ha una vera arte in questo genere». Poi, incontri di rito coi presidenti di Senato e Camera, Schifani e Fini, e giuramento al Quirinale prima del passaggio di consegne a palazzo Chigi.

Un avvicendamento cordiale con il tradizionale passaggio della campanella utilizzata durante i consigli dei ministri. Primo Consiglio dei ministri per nominare il «suo» Letta, il sottosegretario Antonio Catricalà, e poi una nottata a limare il discorso di oggi per avere la fiducia al Senato.

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