Il giovane regista Carmelo Rifici: «La mia gavetta? Cechov e James»

Tra i giovani registi del teatro milanese, Carmelo Rifici è senza dubbio il più misterioso. Dal momento che, mentre i suoi colleghi si rifanno alle sperimentazioni più audaci pescando a piene mani tra romanzi e poemi, lui non solo li sfida sullo stesso terreno ma non per questo disprezza i grandi classici né tantomeno il melodramma o la scena, ricca di effetti e sorprese, del nostro Ottocento. Come ha cominciato? «Tutto regolare - spiega -. Nove anni fa mi sono diplomato alla Scuola dello Stabile di Torino dove, dopo aver recitato agli ordini di Cobelli nell' "Impresario delle Smirne", con un coraggio pari solo all'incoscienza ho messo in scena "L'ultimo giorno di un condannato a morte" che più di un testo è il manifesto contro la pena capitale stilato nientemeno che da Victor Hugo». Non è un inizio insolito per un debuttante? «Insolito? Addirittura controcorrente. Io che tra le mie radici non mi vergogno di annoverare l'opera lirica e i copioni che precedono l'avvento del ventesimo secolo, studiavo con accanimento "Le tre sorelle" di Cechov e un romanzo breve dall'andamento onirico come "Il giro di vite", il capolavoro di Henry James». Che poi ha messo in scena, non è vero? «La mia gavetta l'ho compiuta, sudata e superata con due testi anomali e affascinanti che poco o nulla hanno in comune». Cos'ha determinato una simile scelta? "La mia vorace curiosità. Portare in scena coi giovani del Verdi di Milano un classico consacrato come "Tre sorelle" in cui gli stati d'animo, i momenti d'abbandono e il vorticoso irrompere degli avvenimenti non lasciano tregua e, al tempo stesso, immettermi volutamente nel cerchio stregato del "Giro di vite"in cui dovevo fare i conti con due bambini posseduti dai fantasmi che li contagiano del loro macabro influsso è stato uno di quei tour de force cui ci si abbandona solo quando si è molto giovani o molto vecchi». Vale a dire? «E' come compiere un triplo salto mortale e, subito dopo, affrontare un' immersione subacquea. Dal momento che, con Cechov, devi calarti nel passato di un mondo dove grazia, cultura e buone maniere sono destinate a sparire con l'avvento dei tempi nuovi mentre con Henry James rischi di precipitare in un baratro» .

Ossia? «Se non stai attento, l'autore di quell'ambiguo gioco a rimpiattino tra la realtà e l'inconscio può farti sparire dalla circolazione come accadeva alle ragazze vittime della natura in Picnic a Hanging Rock, il film di Peter Weir». Poi cos'è successo? «Ho vinto il Premio della Critica e sono stato ammesso a un corso di perfezionamento tenuto da Luca Ronconi». E da allora non si è fermato più… «E' vero, ma facciamo le corna».

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