Giovanna non ce l’ha fatta. Il killer senza pietà: ho solo rubato la borsa

Dopo due giorni d’agonia è morta la donna di 47 anni massacrata e gettata in un fosso a Roma da uno zingaro. La disperazione del marito: "Non avrei dovuto lasciarla sola". Il nomade accusato dell'omicidio non confessa e finge di non capire: "Sono solo da due mesi in Italia". Oggi l'interrogatorio

Giovanna non ce l’ha fatta. Il killer senza pietà: ho solo rubato la borsa

da Roma

Roberta, Manuela, Cristina, Sandra, Francesca. Tutte le romane si stringono intorno a Giovanna. La piccola grande donna che suo malgrado e a carissimo prezzo è diventata un simbolo per questa città stufa della violenza, stufa di piegare la testa, stufa di mordersi le labbra e restare in silenzio di fronte agli scippi e alle rapine, agli stupri e agli omicidi. Una città che non vuole più avere paura, non vuole più dover affrettare il passo verso casa per chiudere in fretta la porta blindata. Non vuole rassegnarsi al fatto che è diventato inevitabile trovare prima o poi la macchina bruciata sotto casa o l’appartamento ripulito dai ladri. Nessuno adesso ha più la forza di credere alla favola della «città più sicura del mondo».
Giovanna dopo essere stata attaccata per una manciata di ore ad una macchina che l’ha tenuta in vita è morta alle 19,34 di ieri nel reparto di rianimazione dell’ospedale Sant’Andrea. Le sue condizioni erano apparse subito disperate, il bollettino medico freddo ed implacabile era rimasto sempre lo stesso: «stato di coma con assenza di riflessi, ma con residua attività elettrico cerebrale». Quando anche quella «residua attività» è cessata i macchinari sono stati spenti e così si è dileguata anche l’ultima speranza del marito e dei parenti. Intanto al capezzale di Giovanna fin dal mattino era cominciata una sorta di pellegrinaggio per questa donna coraggiosa che prima aveva lottato contro il suo aggressore poi fino all’ultimo con la morte.
Il giorno dopo l’aggressione sono emersi tutti i particolari di quei tremendi momenti che hanno trasformato la via del ritorno a casa in un incubo senza risveglio e una donna come tante in un’eroina per caso. Giovanna, dice il capo della squadra mobile di Roma Vittorio Rizzi, ha reagito con tutte le forze che aveva contro Nicolae pure se quell’uomo era il doppio di lei. L’ipotesi avanzata da Rizzi è quella di un tentativo di rapina poi sfociato in una violenza bestiale anche a causa della forte reazione della donna. Nessun dubbio sul fatto che sia stato Nicolae: il portafoglio i documenti, la borsa sono stati ritrovati nella sua baracca. Forse però l’uomo non era solo. Probabilmente Giovanna sempre secondo Rizzi «potrebbe essere stata colpita con un sasso o con il suo stesso ombrello». Fino ad ora non è stato possibile stabilire con certezza se sia stata consumata o no la violenza sessuale. Certo, quando è stata ritrovata in quel fosso in mezzo al fango aveva i pantaloni abbassati e il maglione tirato su, senza mutandine. Quello che è certo è che la donna si è difesa. I medici hanno visitato anche il romeno che è stato trovato pieno di graffi sulla schiena e sulla spalla. Giovanna ha lottato fino all’ultimo con tutte le sue forze. E questo forse ha scatenato ancor di più la brutalità del rumeno che l’ha colpita violentemente sulla testa, provocandole quel «trauma cranico facciale» che ha causato il coma.
Un’aggressività bestiale che fa paura e che ha scatenato un’ondata di solidarietà femminile. Ieri al capezzale di Giovanna sono accorse tante donne. Tra le altre Roberta Moriccioli, la figlia di Luigi che nell’agosto scorso è stato massacrato di botte da tre rumeni lungo la pista ciclabile che corre lungo l’ippodromo di Tor di Valle. Luigi poi è morto dopo una lunga agonia il 5 ottobre. «So che cosa vuole dire stare vicino ad un proprio caro che ha subito una violenza efferata - dice la Moriccioli -, ho assistito mio padre nella sua agonia per sessanta giorni in ospedale: si prova un forte senso di indignazione, delusione e impotenza al ripetersi di questi episodi perché neanche di fronte ad una vittima si riesce a fare qualcosa». Per la Moriccioli «chi commette questi reati non lo fa perché spinto dalla necessità, sono delle belve umane che hanno fatto questo perché il buonismo e la tolleranza glielo hanno consentito».
Tante le donne che sconvolte dalla brutalità del delitto hanno portato la loro testimonianza di solidarietà.

Un santino con l’immagine di Papa Giovanni Paolo II da parte di Maria Antonietta quando si sperava in un miracolo. Un mazzo di fiori da parte di Emilia e sua figlia Katia. Tutte confidano di condividere la paura di «uscire da sole di notte».

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