GIRO DI LOMBARDIA La corsa dei campioni spegne 100 candeline

Sabato si disputa questa «classica» di fine stagione che, nella sua storia, ha visto vincere tutti i numeri uno. Felice Gimondi ce ne svela i segreti

Pier Augusto Stagi

Cento edizioni, ma non le dimostra. Il Giro di Lombardia arriva al traguardo secolare in splendida forma, con grandi aspettative per una corsa che da sempre ha chiamato alla ribalta i corridori più forti. «Il Lombardia, come la Liegi, è una corsa sincera - spiega Felice Gimondi - perché se non subentrano fattori esterni, vince il più forte».
La favola del Lombardia cominciò nel 1905 (lo scorso anno vennero festeggiati 100 anni, quest’anno le 100 edizioni: tra le classiche «monumento» solo la Roubaix ha raggiunto le 104 edizioni, mentre domenica la Parigi-Tours festeggerà anch’essa le sue cento corse) quasi per caso, sull’onda del successo di pubblico riscosso da una sfida a due fra Albini e Pavesi. Per sfruttare l’occasione, La Gazzetta dello Sport organizzò il Lombardia in fretta e furia, si corse il 12 novembre e da allora quel Giro divenne la classica di fine stagione, la corsa delle foglie morte. Vinse il Diavolo rosso, Giovanni Gerbi, rifilando distacchi clamorosi agli avversari: il secondo e il terzo, Rossignoli e Ganna, giunsero a quaranta minuti.
Cinque volte l’ha vinto Coppi, che del Lombardia è divenuto l’autentico simbolo. E una sesta vittoria gli fu sottratta in volata, nel 1956, dal francese Darrigade con la complicità di Magni che l’aveva giurata alla Dama Bianca, rea di averlo offeso sul percorso.
E proprio Darrigade sarà uno dei più applauditi la sera della vigilia, il prossimo 13 ottobre, quando sulle rive del lago di Como si ritroveranno tutti i vincitori del Lombardia che sono ancora tra noi.
Ci saranno Defilippis e Taccone, Motta e Bitossi, Merckx e De Vlaeminck, e ancora Moser, Saronni, Hinault e Kelly. Con loro, Felice Gimondi che il Lombardia lo ha vinto due volte.
«Nel 1966 fui protagonista di un finale di stagione eccezionale, coronato da vittorie importanti - racconta il campione bergamasco -: ricordo che in quel Lombardia ci furono fughe tutto il giorno, ripresi i primi sul primo passaggio dell’Intelvi e alla fine ci trovammo in fuga in sei. Con me c’erano Merckx, Anquetil, Adorni, Poulidor e Dancelli. Erano gli anni del percorso classico, quello in cui si partiva da Milano per arrivare al velodromo di Como, la “pistaccia” come la chiamavamo allora. Entrai nel velodromo alla ruota di Adorni e partii lungo ai trecento metri: Merckx tentò di recuperami ma non ci riuscì. Vinsi nettamente, ma avevo talmente paura di una magia di Eddy che alzai solo una mano, non si sa mai… Il secondo Lombardia lo vinsi nel 1973 proprio per una squalifica di Eddy: Merckx ci staccò tutti e arrivò solo, ma una settimana dopo fu squalificato. Gli avevano trovato efedrina e il dottor Cavalli, medico della Molteni, si assunse ogni responsabilità: gli aveva somministrato uno sciroppo per la tosse che conteneva proprio l’efedrina. Così Merckx venne retrocesso al terzo posto, alle spalle anche di De Vlaeminck».
Negli ultimi anni il Lombardia è tornato a parlare italiano grazie a Celestino, Di Luca, Bartoli, Cunego e Bettini, gli ultimi due vincitori a Como, dove la corsa è finalmente tornata e dove si concluderà anche quest’anno con un finale affascinante che negli ultimi 45 chilometri propone il mitico Ghisallo (affrontato per la prima volta nel Lombardia del 1919 con Costante Girardengo che passò per primo al Santuario per andare poi a vincere la corsa), il Cipiglio e il San Fermo, proprio alle porte della città lariana.


E gli italiani puntano a essere protagonisti anche quest’anno con Bettini in maglia iridata e con Di Luca e Rebellin che vogliono sfruttare la condizione ottimale. Il campione del mondo, dopo aver vinto il Lombardia dei cento anni, vuol bissare con l’edizione numero cento: sarebbe una vittoria storica tutta da dedicare alla memoria del fratello, Sauro.

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