Cronaca locale

Gite, San Siro, Cenacolo e Brera per «sedurre» gli ospiti del Bie

(...) Ma alla fine Saragozza ce la farà, magari facendo ricorso al motto di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, la coppia reale e riuscito tandem di governo che aveva fatto incidere in ogni angolo del loro Palazzo dell’Allegria la scritta «Tantomonta». Ovvero «Non importa come, l’importante è farlo», motto che Ferdinando aveva scelto ispirandosi al suo idolo, Alessandro Magno. E qui si fa eccome: i fondi investiti per l’Expo sono quattro volte quelli previsti da Milano, in caso centrasse l’agognata meta di essere la prossima città prescelta: quasi due miliardi, un enorme fiume di denaro per un capoluogo che conta appena 700mila abitanti, nemmeno la metà della capitale economica d’Italia. E ad aprire la diga a una simile quantità di denaro è stata una sola mano, quella pubblica. Il 70% dei fondi viene dallo Stato, il 15% ce li ha messi la Regione e altrettanti ne ha gettati sul piatto la municipalità». Il Moratti di qui, l’Alcalde Juan Alberto Belloch, si liscia la barba soddisfatto e insiste su una parola «consenso»: «È il segreto di questo successo». E il consenso che in Italia ormai suona parola vuota, qui è cosa concreta, si conta in milioni di euro. Il primo cittadino socialista si fa fotografare abbracciato al suo predecessore del Partito popolare e all’inaugurazione ringrazia «il governo, tutte le forze politiche, quelle al potere ora e quelle precedenti e il presidente della Regione, Marcelino Iglesias Licou, l’unico che sia rimasto sempre in carica negli anni che ci sono voluti a centrare questo meraviglioso obiettivo». Eccolo il consenso di cui parla Belloch, lontano dall’Italia si scopre che bipartisan non è una parola inventata per indicare gli accordi politici destinati al naufragio. Spinti dalla società, qui sono riusciti a portare l’Expo in una città finora aggrappata soprattutto alla fabbrica della General Motors e al centro logistico che soprattutto distribuisce in tutta la Spagna i maglioncini stilosi di Zara. Certo, l’impostazione è zapaterista, tanto denaro pubblico, solo una fettina di soldi privati (120 i milioni investiti dalle imprese) e un tema mondialista che più di moda non si può: «L’acqua e lo sviluppo sostenibile». Lo slogan è trito, ma il tema dell’acqua può funzionare in una città circondata dall’altopiano iberico, ma attraversata dal grande Ebro e da altri due fiumi. E quindi va bene così, anche perché l’Expo ha già portato una valanga di edifici nuovi (un miliardo era destinato soltanto a cambiare volto alla città) compresa la nuova stazione. Già, perché Madrid, insieme ai soldi, ha mandato anche l’Ave, ovvero la nostra Tav, che qui non è una promessa ma un treno che copre 300 chilometri in un’ora e mezza e prima dell’Expo arriverà anche il collegamento analogo per Barcellona. Chissà che a queste condizioni non ci riescano davvero a centrare il traguardo dei 5,5 milioni di visitatori. Per ospitarli hanno fatto lievitare i posti letto da 7.500 a 25mila, di cui 12mila resteranno finita l’Expo. Tremila operai sono al lavoro da due anni e mezzo per costruire la sede dell’esposizione che praticamente è un nuovo quartiere di 25 ettari che sarà circondato da un parco acquatico per un totale di 140 ettari. Per attirare qui i visitatori, Saragozza, con l’appoggio dell’Ente del turismo spagnolo, ha concluso accordi con 21 tour operator e avviato campagne pubblicitarie in mezzo mondo.
I messaggi sono semplici, a volte anche un po’ retorici, e forse a Milano saprebbero fare di meglio. Ma sulla sostanza qui non hanno badato a spese. Alcune grandi sedi espositive sono già in piedi, compreso l’edificio simbolo, la «Torre dell’Agua», un palazzo di vetro che non ha piani ma un’unica spirale che parte dalla base e finisce in cima. A far tremare di più è il palazzo di Zaha Adid, gettonatissimo architetto anglo-iracheno che s’è inventato un palazzo a forma di fiore che per sostenersi a bisogno di affondare dei pilastri fino a 70 metri sotto il suolo. Gli ingegneri guardano perplessi i 1.500 progetti necessari a completare l’opera, ma vanno avanti. Tanto c’è il consenso dei politici di oggi e di quelli che verranno domani, tanto che si è già stabilito cosa fare della maggior parte degli edifici, alcuni resteranno come spazi espositivi altri verranno trasformati in uffici per le autorità locali e regionali che così recupereranno parte dell’investimento, e per le aziende disposte a pagare.

«Tantomonta», direbbe Ferdinando d`Aragona.

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