Giudice in manette: 8 ore di domande

da Fuorni (Salerno)

Non si è avvalsa della facoltà di non rispondere Patrizia Pasquin, il presidente della sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, da ieri agli arresti, prima donna magistrato in carcere in Italia. L’accusa le contesta «una stabile remunerazione» dai Mancuso, potente clan della ’Ndrangheta vibonese: consulenze in cambio di favori. Accuse alle quali oggi la Pasquin, nel corso dell’interrogatorio di garanzia durato ben otto ore, ha voluto rispondere. Nessuna indiscrezione su quanto dichiarato dalla Pasquin. I suoi difensori, gli avvocati Bruno Ganino di Vibo Valentia e Agostino De Caro, di Salerno, al termine dell’interrogatorio, si sono limitati a definire la vicenda «seria».
Di sicuro i legali hanno confermato che è stata respinta la richiesta di concessione degli arresti domiciliari. Nel lunghissimo interrogatorio di garanzia, la Pasquin ha comunque risposto alle domande del gip Anita Mele alla presenza dei pm salernitani Domenica Gambardella e Mariella De Mafellis. Nel frattempo la magistratura ha disposto il sequestro del cantiere del residence «Il Melograno Village» a Parghelia, nel Vibonese. Il giudice finito in cella si sarebbe adoperata per far ottenere un finanziamento di 5 milioni di euro per la struttura, di cui lei stessa sarebbe socio occulto, attraverso il figlio Alessandro Tassone. Su di lei, nell’inchiesta ci sono migliaia di intercettazioni telefoniche, un’indagine durata tre anni, che riempie complessivamente 70 faldoni.
La vicenda, ovviamente, sta agitando il palazzo di giustizia di Vibo. Il legale degli altri due magistrati indagati, Francesca Romano e Michele Sirgiovanni, ha diffuso un comunicato con cui i due togati si dicono «estranei ai fatti».

Il presidente del tribunale, Nunzio Naso, in un altro comunicato chiede che venga fatta chiarezza al più presto e non cita la Pasquin, ma invece esprime «disappunto in ordine alla possibilità che la rivelazione di notizie coperte da segreto su Romano e Sirgiovanni, magistrati di notoria correttezza, arrechi ingiusto pregiudizio alla loro figura e all’ufficio». Il ministero della Giustizia, ha fatto sapere «di seguire da tempo la vicenda», ma di non aver disposto ispezioni «per non ostacolare il corretto andamento delle indagini».

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