Giuditta Vannini

Nacque a Roma nel 1859. Nel 1863 le morì il padre. Nel 1865 sua madre si risposò, ma tre anni dopo morì anche lei. Giuditta e sua sorella finirono in orfanotrofio, dalle suore vincenziane; il fratellino venne accolto in casa dello zio materno. A ventiquattro anni, malgrado le insistenze del fratello, volle farsi anche lei suora vincenziana e fu mandata come postulante a Siena, dove prese il nome di suor Giuseppina. Ma quattro anni dopo, nel 1888, fu giudicata non adatta alla vita religiosa e rimandata a Roma. Lei, pur di restare con le sue suore, si adattò a fare la “maestrina secolare” nel loro collegio di Portici. Ma anche questo si rivelò un fallimento. Ancora una volta a Roma, nel 1891 per caso (meglio: per provvidenza) conobbe il b. Luigi Tezza, che era procuratore generale dei Camilliani. A lui aprì il suo animo e quello si rese conto di aver trovato la persona giusta per il suo progetto di creare il ramo femminile del suo ordine. Nel 1892, nella stanza in cui il fondatore s. Camillo era morto, la Vannini con altre due compagne e il nuovo nome di suor Maria Giuseppina diede vita alla Congregazione delle Figlie di San Camillo, abito nero e gran croce rossa sul petto. Più, il quarto voto camilliano: assistere gli infermi anche se si corre pericolo di morte. Madre Vannini, eletta continuamente superiora generale, aprì case anche in altre città e pure all’estero. Nel 1910 stava imbarcandosi a Genova per visitare le case americane ma si ammalò e dovette tornare indietro. A Roma le sue condizioni si aggravarono sempre più.

Morì l’anno seguente, a cinquantadue anni.

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