Applausi calorosi, venerdì sera, al Carlo Felice per il «Giulio Cesare» di Haendel. Una «maratona» iniziata alle 19,30 e conclusa alle 23,45. Qualcuno si è ritirato prima, ma nell'insieme la platea ha «tenuto» e gli spettatori sono usciti soddisfatti, per lo spettacolo e per il buffet offerto nel foyer principale durante il primo intervallo da «Garisenda Ricevimenti». Un'opera di Haendel su un palcoscenico genovese mancava dal 1975 («Serse»).
Serata dunque d'indubbio interesse che non ha tradito le attese, soprattutto grazie al livello musicale dell'esecuzione. Con «Giulio Cesare», il pubblico si è misurato con un'opera del pieno barocco, con tutte le sue acrobazie virtuosistiche, i suoi eccessi esecutivi e scenici, l'esuberanza narrativa, l'innaturalità dell'impianto vocale. Caratteri che richiedono un indubbio rigore esecutivo e nello stesso tempo una generosa elasticità interpretativa. Sul podio c'era Diego Fasolis, un esperto del periodo barocco. E la sua lettura è stata splendida, per rispetto stilistico ed eleganza espressiva. Orchestra reattiva, fraseggi accurati, dinamiche controllate, chiusure delle arie d'estrema raffinatezza. Uno strumentale assai ben strutturato cui ha fatto riscontro un cast di prim'ordine. L'opera è un seguito straordinario di arie con il da capo di notevole varietà: arie brillanti, eroiche, incisive, dolorose, malinconiche. E ognuna richiede un gioco di virtuosismi, di abbellimenti, di ornamentazioni che debbono impressionare l'ascoltatore ma rientrare nel gusto e nello stile. Sonia Prina ha assicurato una vocalità affascinante a Giulio Cesare, Carmela Remigio è stata una Cleopatra di grande spessore. E bravissimi anche gli altri: Vittorio Prato (Curio), Marina De Liso (Cornelia), Marina Comparato (Sesto), Max Emanuel Cencic (Tolomeo), Mirco Palazzi (Achilla) e Josè Maria Lo Monaco (Nireno). L'allestimento arrivava dal Gran Teatro di Barcellona e dall'Opera di Basilea con la regia, le scene e i costumi di Herbert Wernicke riprese da Bjorn Jensen. Wernicke ha giocato con il barocco nella sua accezione più fantasiosa, provocatoria e bizzarra. Ha creato un'azione fuori dal tempo, mescolando costumi improbabili: abiti romani, divise militari tedesche, eleganti vestiti grigi per gli uomini e una tenuta da «Indiana Jones».
Ha inventato un divertentissimo coccodrillo (l'ottimo mimo Hector Manzanares) che è l'animaletto domestico di Cleopatra. E ha ambientato il tutto in uno spazio vuoto su cui incombe un enorme tetto riflettente e inclinato che consente al pubblico una doppia visuale di ciò che accade sul palcoscenico.
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