«Ogni mattina mi alzo felice. Ogni giorno è per me come se fosse il primo giorno». Gli occhi di mamma Irene brillano. Dietro la felicità di questa minuta ottuagenaria, dolce e inflessibile, c'è il segreto dei santi. L'amore. Mamma Irene è stata la prima delle «mamme per vocazione»: cioè delle giovani nubili che, pur rinunciando al matrimonio non hanno rinunciato alla maternità, e per cinquant'anni hanno allevato e cresciuto le centinaia e centinaia di bambini abbandonati, malati e orfani, raccolti da don Zeno Saltini. Il fondatore di Nomadelfia. «Ho visto la fiction della Rai, e ci ho ritrovato molte cose di don Zeno - commenta mamma Irene (a Nomadelfia non esistono cognomi: ci si chiama solo per nome)-. Ci sono momenti in cui Giulio Scarpati sembra proprio lui».
Don Zeno. L'uomo di Nomadelfia - le due puntate dirette da Gianluigi Calderone e interpretate da Scarpati, domani e mercoledì su Raiuno - appartengono di diritto al genere, solitamente deprezzato e deriso, ma di primaria importanza, del «cinema edificante». «Sono felice di aver girato Don Zeno, e non mi vergogno di dire che è una bella fiction, dichiara il regista. Narrato «in una chiave di realismo magico che ricorda Zavattini e Guerra» (come osserva il responsabile della fiction Rai, Gusberti) Don Zeno segue lavventura umana del sacerdote emiliano che, per salvare i bambini abbandonati, creò nei presi di Grosseto la comunità di Nomadelfia, combattendo contro avversità dogni genere. Fino al commosso riconoscimento di Giovanni Paolo II. «Una fiction attualissima - considera Gusberti - soprattutto oggi che, nell'affrontare i drammi delle nuove povertà, non dobbiamo smarrire il senso profondo della nostra identità cristiana». «Oggi a Nomadelfia vivono 50 famiglie, 350 persone che come le prime comunità cristiane mettono tutto in comune - racconta mamma Irene (che nella fiction ha il volto di Isabella Briganti) -. Io ci arrivai nel 1941 perché don Zeno non riusciva più a fare tutto da solo. Avevo solo 18 anni, e i genitori contro.
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