Milano - L’allarme fascismo? «Non lo condivido. È assolutamente infondato e ingiustificato, basti ricordare che proprio sotto il fascismo per pm e giudici vi era l’unicità della carriera. E allora meglio non parlare per slogan. Non solo: vi sono norme costituzionali che nessuno ha mai chiesto di modificare che garantiscono l’autonomia e l’indipendenza del singolo giudice e dell’intera magistratura». Giuliano Pisapia, penalista, presidente della commissione voluta dal governo Prodi per riscrivere il Codice penale, si schiera da sinistra sulle controverse riforme della giustizia: «La separazione delle carriere non consegnerà il pm al governo, ma ci aiuterà sulla strada che porta a un giudice effettivamente terzo e all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ma prima di entrare nel merito, devo fare una premessa».
Quale?
«È giusto che il Parlamento ascolti tutte le parti in causa, ci mancherebbe. Ma poi le riforme le devono fare le Camere».
I giudici puntano il dito contro le leggi antimagistratura.
«Le leggi non sono né contro né a favore di qualcuno. Vanno fatte per il bene del Paese».
L’Associazione nazionale magistrati indica come prioritarie le leggi per aumentare l’efficienza della macchina giudiziaria, molti politici, invece, mettono al primo posto le riforme costituzionali. Lei da che parte sta?
«Per me debbono andare di pari passo. C’è un nodo importante che, se sciolto, può darci efficienza ma senza arretrare sulle garanzie: è quello dell’obbligatorietà dell’azione penale».
Appunto: oggi di fatto non siamo alla discrezionalità?
«Certo. E infatti molti vogliono abolire o limitare l’obbligatorietà».
Lei non è d’accordo?
«No. Perché in questo modo finiremmo col metterci nelle mani dei pm e delle loro scelte discrezionali, aumentando così il potere dell’accusa non solo verso la difesa ma anche nei confronti del giudice: si violerebbe il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Non va bene».
Dunque?
«Dunque, torna d’attualità il lavoro che la commissione da me presieduta, e altre in precedenza, ha svolto per riscrivere il Codice penale. Occorre avere il coraggio di ridurre, sfoltire, dipanare l’enorme matassa dei reati. Dobbiamo depenalizzare e allargare il campo delle sanzioni amministrative».
Così il pm si occuperebbe solo dei fatti di una certa gravità?
«Certo. E non si trascinerebbe dietro una valanga di procedimenti di scarsa o scarsissima rilevanza. Inoltre si dovrebbe puntare su strumenti deflattivi che hanno già dato buona prova in Italia e all’estero».
A cosa si riferisce?
«Per esempio alla non punibilità per irrilevanza del fatto e particolare tenuità del danno; alla messa in prova anche per i maggiorenni e alla non punibilità in caso di risarcimento del danno, ovviamente per i reati minori. Così avremmo molta più efficienza e processi più veloci ma senza consegnarci ai pm. Poi però c’è un’altra riforma decisiva: la separazione delle carriere».
Berlusconi l’ha rilanciata, provocando le ire dell’Anm.
«Non capisco. La separazione delle carriere è prevista in molti Paesi, scritta nelle convenzioni internazionali ratificate anche dall’Italia, è un fatto di civiltà che chiunque non può non condividere. È arrivato il momento di dividere: di qua i pm, di là i giudici».
È davvero necessario questo passaggio?
«Sì, perché altrimenti il giudice non sarà mai terzo fra pm e avvocato, fra accusa e difesa. Il giudice non può essere sullo stesso piano del pm, che è una parte. Il giudice, e questo è un principio fondamentale, deve essere e apparire al di sopra delle parti, come ribadito recentemente dallo stesso presidente dell’Anm».
L’Anm teme il ritorno del fascismo.
«L’ho già spiegato, le riforme si fanno pensando ai cittadini e tenendo conto di tutte le voci. Ma senza subire condizionamenti».
Da sempre si dice che la separazione delle carriere è il primo passo per portare il pm sotto l’esecutivo e farne un docile funzionario. Non c’è questo rischio?
«Assolutamente no. Tutte le proposte che arrivano in questo senso, a partire da quella delle Camere penali, lo escludono esplicitamente. Il pm può essere sganciato dal giudice, ma mantenere tranquillamente la sua autonomia e la sua indipendenza. Sarei il primo a contrastare un disegno del genere».
Lei è stato deputato indipendente di Rifondazione, ma una buona parte della sinistra vede con orrore questa possibilità e evoca addirittura il fantasma di Licio Gelli.
«Ma no, Gelli non c’entra niente. O meglio, ha scopiazzato proposte e idee che provenivano dalla dottrina più autorevole. Piuttosto la sinistra si rilegga i Costituenti».
I Costituenti?
«Sì, molti padri della patria e in particolare importanti giuristi di sinistra erano a favore della separazione delle carriere; poi è andata in un altro modo ma dobbiamo assolutamente rafforzare la terzietà del giudice. Comunque, faccio una proposta».
Quale?
«Dobbiamo immaginare una conferenza nazionale della giustizia in cui i deputati e i senatori ascolteranno tutte le campane: avvocati, giudici, operatori. Poi una sessione parlamentare dedicata alla giustizia. Sarà il momento per modernizzare il Paese su questo versante».
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