Giuseppe Marcenaro, un coro di libri nell’antro del bibliofilo

Dei molti anni trascorsi a Genova, come docente universitario, ho un solo rimpianto, quello di non aver frequentato quanto avrei potuto un intellettuale di grande finezza e intelligenza qual è Giuseppe Marcenaro, scrittore e giornalista, ma soprattutto bibliofilo e appassionato collezionista di libri. Anche se, a onor del vero, l’amicizia che ci lega è profonda e non si cura della scarsità degli incontri de visu perché nasce da una sintonia di interessi culturali e da una comune sensibilità per alcuni autori. Tuttavia, il rimpianto c’è. Avrei potuto, magari, salire le scale del severo palazzo dove Marcenaro vive, legge e scrive, nella Genova storica, di fronte al mare. E dove, soprattutto, vivono i suoi libri.
A lenire questo rimpianto è la lettura del suo nuovo lavoro, intitolato Libri. Storie di passioni, manie e infamie (Bruno Mondadori, pagg. 216, euro 17), un «viaggio sentimentale» nella sua biblioteca: un viaggio fitto di incontri, apparentemente casuali, con autori e personaggi i quali, con discrezione, si staccano dalla pura materialità della pagina e acquistano vita in uno sfolgorio di notizie, aneddoti, curiosità, riflessioni. È difficile resistere alla fascinazione intrigante di questo saggio, così com’è difficile resistere alla suggestione di altri fortunati lavori di Marcenaro, per esempio Genova e le sue storie (2004) o Cimiteri. Storie di rimpianti e di follie (2008) o ancora Ammirabili & Freaks (2010).
Non c’è, in queste pagine, il narcisismo del bibliofilo orgoglioso delle rarità in suo possesso. C’è, piuttosto, il sottile piacere della condivisione del «viaggio sentimentale» fra i suoi libri e i suoi autori, nonché delle sensazioni che tale viaggio, avventura al di là e al di fuori del tempo, è capace di provocare. Marcenaro sostiene di considerare il libro «nella sua entità astratta e forsennatamente concreta, un oggetto usuale al limite dell’assurdità, con tuttavia una forte aura sacrale». E, da molti anni, com’egli confessa, vive «nell’inquietudine dei libri», che manifestano la propria sacralità soprattutto di sera, quando «i raggi del sole calante bruniscono e, filtrati dalle finestre aperte sulla città e sul porto, effondono un estremo languore» e, con l’ausilio di abat-jour dal cappello rigorosamente di pergamena, illuminano gli scaffali creando giochi d’ombra che fanno volare la fantasia.
Allora i libri parlano. E raccontano non solo quello che è stampato, ma anche le storie che ruotano attorno a essi e, magari, ai loro precedenti e spesso sconosciuti proprietari. Per esempio un piccolo volumetto del filosofo scettico Giuseppe Rensi, dal titolo innocuo, Raffigurazioni: schizzi di uomini e di dottrine, pubblicato da Guanda nel 1934, reca sulla copertina un timbro: «Pagine tolte, righe e parole cancellate per ordine dell’Autorità». All’interno, interi paragrafi sono sovrastampati in nero per renderli illeggibili. Un’annotazione a lapis del vecchio proprietario recita: «Ti soffoco perché mi dai noia». Il libro, così mutilo, parla. Parla della censura e della stupidità della censura. E suggerisce associazioni con altri volumi che fanno parte della biblioteca delle meraviglie di Marcenaro: dalle stupende edizioni cinquecentesche di testi inseriti nell’Index librorum prohibitorum, Erasmo da Rotterdam o Giordano Bruno, rimessi in circolazione espurgati delle parti incriminate, a quelle che costituiscono il piccolo enfer della libreria, celate alla vista per il contenuto scollacciato e che comprendono autori come De Sade e Mirabeau, Apollinaire e De Musset, Restif de la Bretonne e Mérimée, Baudelaire, Pierre Louys e via dicendo.
Ma, intendiamoci: questo bel volume dal titolo feticistico non è affatto il catalogo dell’eccezionale collezione di un bibliofilo di talento o di un bibliomane. È piuttosto lo strumento o, se si preferisce, il pretesto scelto da Marcenaro, con sottile furbizia, per tratteggiare ritratti a tutto tondo dei suoi autori preferiti, svelandone aspetti segreti o rivelandone gusti o episodi che nessuna biografia o saggio critico è in grado di raccontare. Per esempio le pagine dedicate a Stendhal e alla costellazione di letterati che quel nome richiama, per associazione, costituiscono un’introduzione alla sua personalità e agli umori del secolo in cui visse. E quelle, di tutt’altra natura, vergate per parlare di Emil Ludwig e della edizione dei suoi celebri Colloqui con Mussolini permettono all’autore di raccontare i retroscena di un’intervista che fece storia, nonché le reazioni di Mussolini, il quale, con le bozze del libro in mano, rivolgendosi a Mondadori disse: «Il vostro Ludwig è un somaro. Io non sono avvezzo a dire sciocchezze: o non mi ha capito o mi ha inteso male».
Il volume di Marcenaro non è facilmente descrivibile.

È, certo, un’apologia della lettura e del collezionismo, ma è anche il commosso «esame di coscienza» di un letterato che, attraverso le più disparate pagine stampate nel corso dei secoli, si è trovato a vivere avventure intellettuali, magari identificandosi col protagonista di qualche romanzo nella speranza o nell’illusione di cambiarne il finale. Comunque, una lettura deliziosa.

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