Anna Maria Greco
da Roma
Una cosa è la volontà, unaltra la possibilità. Cioè i numeri in Parlamento, che in Senato sono «fluttuanti» e non sempre a favore della maggioranza: perciò un decreto legge di sospensione della riforma Castelli non sarebbe passato. Così Clemente Mastella cerca di spiegare allassemblea dellAnm perché il governo ha ripiegato su un disegno di legge per bloccare almeno in parte lattuazione del nuovo ordinamento giudiziario targato Cdl.
Il guardasigilli parla di dialogo, promette che sarà lalfiere dellautonomia e indipendenza della magistratura, ma avverte che ognuno deve fare la propria parte e i magistrati devono evitare «di alzare totem ideologici», pensando invece a rendere più efficiente la giustizia. Mastella blandisce, rassicura, ma infligge anche qualche scudisciata avvolta nel velluto. Intanto, dice che la riforma Castelli non può essere buttata tout court nel cestino, perché è «l'effetto di 5 anni di un governo scelto dai cittadini in democrazia». «Capisco - aggiunge il ministro - che bisogna eliminare qualcosa, ma la controriforma va negoziata forse in maniera diversa da quello che avevate pensato. La politica è mediazione».
E poi Mastella fa quel discorso, commentato da mugugni di scontento delle toghe, sulla necessità di lavorare di più, accelerare i tempi dei processi ed evitare errori materiali che poi giovano ai delinquenti, come nel caso del figlio del boss del clan Di Lauro scarcerato a Napoli per la mancata trasmissione di una pagina via fax. «Alla gente - dice - non frega niente della nostra discussione sullordinamento giudiziario: interessa, invece, avere una giustizia più veloce, con standard diversi di efficienza». Il guardasigilli fa anche appello alla Cdl, dicendo che vuole proseguire su una «linea concertativa» nella riscrittura della riforma dellordinamento giudiziario: «Mi sembra ingiusto che lopposizione dica, già da adesso, che si opporrà in tutte le sedi al mio disegno di legge».
Insomma: la riforma Castelli non è tutta da bocciare, bisogna modificarla insieme al centrodestra e le toghe più che alla politica e agli interessi corporativi devono pensare a far funzionare la macchina giudiziaria. Tre punti che proprio non possono piacere allAnm. Delusi, frustrati, preoccupati i magistrati ascoltano il ministro della Giustizia giustificare la sua frenata in nome della realpolitik, ma non solo. E nellaula magna del Palazzaccio serpeggia il malcontento. Alcuni parlano di sciopero. Contro il governo Prodi, stavolta, dopo i 4 in 5 anni contro il governo Berlusconi. Prevarrà poi la cautela e il «parlamentino» delle toghe deciderà di confermare solo lo stato dagitazione, ma restando convocato «in seduta permanente» per verificare il 15 luglio se il ddl è andato avanti come doveva. Ed eventualmente decidere il da farsi. Una spada di Damocle. Intanto, lAnm chiederà incontri con i partiti di maggioranza e opposizione e con le commissioni parlamentari per fare pressione e spiegare le preoccupazioni per gli «effetti devastanti» che avrà lentrata in vigore dei decreti di attuazione sulla gerarchizzazione delle Procure (il 18 giugno), sugli illeciti disciplinari (il 19 giugno) e sulla separazione delle funzioni tra giudici e pm (il 28 luglio). Solo per questultimo il governo potrebbe intervenire in tempo. Salvo, poi modificare, anche gli altri.
La scelta del governo di rinunciare al decreto legge, avverte il segretario dellAnm Nello Rossi, produrrà «guasti profondi». Bisogna «voltare pagina», altrimenti la magistratura farà fronte a «nuovi conflitti». Quasi un ultimatum. Questa «pessima» riforma va fermata «in tempi brevi», dice il presidente dellAnm Giuseppe Gennaro. Devessere «cancellata», per il primo presidente della Cassazione Nicola Marvulli, o riscritta solo in «pochissime norme marginali».
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