Bartolomeo Romano è siciliano e nel plenum straordinario di martedì del Csm  cita Tomasi di  Lampedusa ne «Il Gattopardo»:  «Dite che si deve cambiare, ma alla fine siete d'accordo per non  cambiare nulla». 
La celebre frase del principe di Salina, così capovolta, per il laico del Pdl ben rappresenta la  resistenza della magistratura e delle sue correnti alle riforme. Nel caso specifico, quella  sulla giustizia del governo Berlusconi.
Romano, che è stato consigliere giuridico del ministro Guardasigilli Angelino  Alfano, parla  così dopo l'approvazione  da parte della maggioranza del Csm della  relazione che, poche ore  dopo, il vicepresidente Michele Vietti presenta alle Commissioni Giustizia e Affari  costituzionali  della Camera.
Una relazione di 39 pagine, fortemente critica verso una riforma che pone «le premesse per un  ordine giudiziario non più unitario e meno autonomo e indipendente» rispetto al potere esecutivo  e a quello legislativo. 
Non per questo, però, il Csm farà«chiusure aprioristiche», assicura  Vietti. A Palazzo de'  marescialli,  garantisce, ci saranno  confronto e  dibattito sul merito delle proposte del  governo, perchè sarebbe «illusorio» pensare di poter affidare solo alle «autocorrezioni» o alle  «autocritiche» la soluzione di «problemi effettivi» quali la «tentazione correntizia della  magistratura, la spettacolarizzazione dei processi, il protagonismo improprio di alcuni  magistrati» e, tra l'altro, la «discrezionalità di fatto dell'azione penale». 
Ma la questione non sembra così aperta e la bocciatura della riforma che  Vietti anticipa a  Montecitorio, certo caratterizzerà anche il parere formale che il Csm dovrà dare in un secondo  tempo.
Bastava sentire al plenum  Vittorio Borraccetti, presidente della commissione  che lo dovrà  elaborare: a nome dei colleghi di Area, il coordinamento fra le correnti di sinistra  Magistratura democratica e Movimenti riuniti, ha indicato come vero scopo della riforma quello  di «riequilibrare il rapporti tra i poteri dello Stato a danno della giurisdizione con uno  stravolgimento dell'assetto costituzionale» così da ad arrivare «all' umiliazione istituzionale  della magistratura». 
Pur manifestando l'esigenza di cambiare alcuni punti del ddl Alfano, i laici del Pdl Romano,  Nicolò  Zanon e Filiberto  Palumbo hanno sostenuto tutt'altra tesi e cioè che la riforma è  necessaria innanzitutto per dare attuazione alla modifica dell'articolo 111 della Costituzione e  all'introduzione del principio del giusto processo.
I tre consiglieri laici del Pdl hanno chiesto invano di non arrivare alla votazione sulla  relazione  di Vietti, sottolineando  i problemi che pone l'audizione parlamentare  del  vicepresidente di un organo collegiale.
Alla fine Romano, Zanon e Palumbo si sono pronunciati contro, mentre il quarto laico del centrodestra, il presidente emerito della Consulta Annibale Marini, si è astenuto dopo aver richiamato la necessità che sulle riforme costituzionali, specie quelle sulla giustizia, ci sia «condivisione». Tutti gli altri sono stati a favore.