Glasgow, guerra di calcio e derby di fede

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Neil Lennon non può farsi il segno della croce: non in pubblico, non oggi. Pasqua viene dopo il derby. Rangers-Celtic a Ibrox Park nel giorno della resurrezione di Cristo è un pugno del destino. Il segno della croce fatto in casa dei protestanti sarebbe un oltraggio. Questa è Glasgow e questo è l’Old Firm, ciò che nessun altro derby riuscirà mai a essere. Ottanta punti i Rangers, 79 i Celtic. Decisiva? È poco. La data aggiunge tensione, il resto pure. Lennon è il simbolo: è allenatore dei Celtic e ha appena ricevuto un pacco bomba a casa. Dinamite, fili, innesco, lettera di minacce: «Ti vogliamo morto». Tutto vero. Non ci sono scherzi in questa partita: non ci sono mai stati dal 28 maggio 1888. Si gioca per il pallone, per la classifica, per la città, per la Scozia, per l’Inghilterra, per l’Irlanda, per la Fede.
Si scende in campo alle 12.30. All’ora di pranzo per evitare che l’alcol nelle vene sia in eccesso, per evitare che Glasgow sia un territorio ingovernabile come lo è stato troppe volte, per evitare che da niente nasca tutto, che da un insulto parta la rissa e da una rissa il caos. Ci vuole la luce del sole. Qui bisogna stare attenti, tenere gli occhi aperti e organizzare le pattuglie: l’arrivo allo stadio separato, le tribune distinte, l’uscita scaglionata. Meglio non mischiare troppo: non è cambiato molto, non è cambiato nulla. Polizia, governo e società lo ripetono: «Non ci sono morti solo perché è aumentata la sicurezza». Alla trecentonovantacinquesima volta questo resta il derby di civiltà: protestanti contro cattolici, inglesi contro irlandesi, lealisti contro indipendentisti, orangisti contro feniani. Il calcio ha fatto finta di superare la storia, le squadre sono miste, i presidenti si stringono la mano e firmano petizioni contro i pregiudizi, l’Uefa costringe i capitani a leggere comunicati antirazzismo, la Fifa invita a creare squadre giovanili che si sfidino nel nome del fair play. Scambio di maglietta, magari. Poi però ogni incrocio è un rischio, ogni partita un’incognita. La religione e il pallone, la società, l’etnia, i quartieri. Glasgow si blinda almeno quattro volte all’anno: bloccata da una partita che non è soltanto calcio. Va così dal 5-2 per il Celtic del 28 maggio 1888. La prima partita. I Rangers esistevano da 15 anni, però diventarono tutti protestanti copiando l’idea del Celtic di far giocare soltanto cattolici. Bianco-verdi, loro: la squadra degli irlandesi. Blu i Rangers, che arrivarono col carico della fedeltà alla Corona e alla religione di Londra. Centoventitre anni dopo c’è Neil Lennon: la dimostrazione che la diversità si può nascondere dietro un paravento, ma resta. La Scozia è un campo di battaglia delle idee. Ibrox e Celtic Park sono i tribunali del popolo. Differenti come lo è la popolazione della città, costretta a trovarsi insieme per fame e non per scelta. La fede è il segnale di un’appartenenza. Si nasce da una o dall’altra parte e non c’è possibilità di sfuggire al destino. A Govan sarai sempre un protestante, filoinglese e tifoso dei Rangers. Un Hun. A Glasgow East sarai un cattolico, filoirlandese e tifoso del Celtic. Un Tim. Sta per Timothy e se giri per la città chiedendo spiegazioni hai questa risposta: «È un nome cattolico, nessun protestante ha mai chiamato suo figlio Timothy».
Non ci sono paragoni in Europa e nel mondo. Liverpool-Everton, Millwall-West Ham, Roma-Lazio, River Plate-Boca Juniors. Tutti dietro. Non c’è confronto: «Glasgow è la capitale mondiale dell’astio tribale», ha detto una volta Tony Cascarino. Lui era un centravanti del Celtic: irlandese del sud, repubblicano. Era il 1992 e un giorno si trovò per caso con Terry Hurlock, un calciatore dei Rangers, scozzese. Erano stati compagni nel Millwall, in Inghilterra. Si salutarono e si infilarono dentro un pub insieme. Una pinta di odio. Quella bevuta fu la fine della carriera a Glasgow per tutti e due. Non si può, non si deve. Lascia stare che la vecchia regola è stata superata. Era questa: nei Rangers possono giocare soltanto protestanti, nei Celtic solo cattolici. È caduta, presa a calci dalla convenienza e dal futuro. L’ultimo muro vero è caduto nel 1989 con un caso che ha fatto storia: Mo Johnston, cattolico ed ex Celtic, fu acquistato dai Rangers. Mo era lo scozzese più famoso del mondo in quel momento. Firmò il tradimento. Fu una notte di passione: 13 luglio, manco a farlo apposta piena stagione delle marce orangiste a Belfast. La sede dei Rangers fu presa d’assalto. Gli ultrà rimasero lì tutta la notte, accerchiati dalla polizia. Johnston alla fine arrivò. Fu una tragedia. Per lui, per il club, per tutti. Per muoversi a Glasgow o in qualunque altro posto nel mondo, Mo aveva bisogno di tre guardie del corpo. Altre tre per la moglie e i quattro figli. Si doveva difendere da tutti: dai tifosi dei Rangers che l’odiavano perché cattolico, da quelli dei Celtic che lo consideravano un infedele. Brutta storia.

Non l’unica. Non l’ultima. Artur Boruc, il portiere oggi alla Fiorentina, qualche anno fa fu multato per essersi fatto il segno della croce prima di un derby. Vietato allora, vietato oggi. Pasqua o non Pasqua, viene tutto dopo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica