Sanremo 2011

GNOCCHI: No, è la solita solfa Da abbiocco, si può dare di più

In fondo la migliore descrizione della canzone sanremese la fa Checco Zalone in una scena del film Cado dalle nubi. Zalone tiene lezione di chitarra ai ragazzi disagiati della parrocchia. Pronti, via: il maestro insegna un giro di do maggiore, quattro accordi in croce. Fine del corso. Perché, dice Zalone, «con un giro di do maggiore avete già in repertorio metà della musica italiana». Difficile dargli torto.
Ieri sera abbiamo ascoltato fra gli altri Modà, Giusy, Max Pezzali, Tricarico, Vecchioni. I più attesi, quelli in cerca di lancio, rilancio o consacrazione. Dalle nuove leve ai vecchi maestri, quasi tutti optano per il brano «sanremese». Al Festival il tempo non passa mai. La melodia orecchiabile da sempre regna sovrana, meglio se affogata in un mare di archi stucchevoli. La sezione ritmica non deve disturbare troppo lo spettatore in dormiveglia sul divano: si limita quindi ad accompagnare. Quando si alza il volume per un po’ di rock, ecco comparire i chitarroni molto radiofonici e molto banali, un suono stereotipato al quale anche Vasco Rossi si è arreso. I testi? Il fatto che nelle canzoni di quest’anno si usi un po’ meno del solito la parola «amore» non le toglie il primato statistico. Anche la provocazione, ammesso che ci sia, è moscia come i tiri «telefonati» nelle partite di calcio. Complessivamente il programma, e quello di quest’anno non fa eccezione, è così zuccheroso da far venire il mal di denti.
Le canzoni da palco dell’Ariston, con le dovute eccezioni, sono l’aurea mediocritas. Il prodotto medio pensato dal discografico medio nella convinzione che sia gradito al pubblico, verso il quale si avverte una punta di disprezzo. Come se stesse lì in attesa di trangugiare qualsiasi cosa purché «pompata» da una trasmissione televisiva di successo. Il pubblico invece non si accontenta e scappa a gambe levate dal mercato musicale. La leggera crescita registrata nel primo semestre 2010 è stata una sorta di rimbalzo sul fondo dopo anni di caduta libera. E la seconda metà dell’anno ha riportato un segno ancora negativo. La prima causa del crollo è la pirateria, intollerabile perché infrange il diritto d’autore, intaccando l’idea stessa di proprietà privata. Subito dopo però viene l’incapacità di proporre musica nuova ed eccitante. Tanto, si dice, non venderà. Atteggiamento poco lungimirante che alla fine condannerà (ma forse è già accaduto) la musica pop all’irrilevanza. Del resto, chi non ha la sensazione che l’acquisto dei file digitali in vendita on line non sia altro che un pretesto per regalarsi un nuovo modello di iPod, molto più attraente delle canzoni che contiene? L’ultima volta che il mercato è cambiato, di colpo e in profondità, fu nel 1991 con il successo planetario dei Nirvana, un gruppo rock che infrangeva le regole all’epoca vigenti. Da allora, stop. Ed è iniziato il periodo nerissimo.


Visto che Sanremo è una colossale opportunità per farsi conoscere e per progettare carriere, perché non sfruttarla a fondo? Si può dare di più, come direbbe Gianni Morandi.

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