È davvero importante la pubblicazione, in italiano, del saggio di David Mamet dal titolo Come ripudiare la sinistra e vivere felici. Lo è per più motivi. In primo luogo, per il contenuto, riaffermazione dei valori di una società libera e liberale, fondata sul mercato e sulla concorrenza politica. In secondo luogo, per il percorso autobiografico dellautore, emblematico di paralleli percorsi seguiti da intellettuali emancipatisi dalla sudditanza alla sinistra. In terzo luogo, poi, perché suggerisce riflessioni sulla possibilità di ricezione delle sue idee al di là dei confini americani.
Il fatto che Mamet, nato come progressista liberal, abbia abbandonato le sponde consolatorie della sinistra dopo aver incontrato (e meditato) le pagine di Friedrich von Hayek è significativo. Hayek non è solo un illustre studioso, Nobel per leconomia: è, soprattutto, un grande filosofo della politica che ha il dono della chiarezza accompagnato dal coraggio di saper scrivere non curandosi delle conseguenze e, tanto meno, del politically correct. Quando, per esempio, allindomani della Seconda guerra mondiale, i laburisti erano saliti al governo in Gran Bretagna, non esitò a pubblicare un libro, La strada verso la schiavitù, che dimostrava impietosamente come la via della pianificazione e dellinterventismo statale, del Welfare e dellabbandono del libero mercato implicasse una deriva di tipo totalitario, individuando una linea di continuità fra socialismo e fascismo. Negli anni Sessanta, poi, dette alle stampe due altri lavori fondamentali per il pensiero liberale: Labuso della ragione, requisitoria implacabile contro il «costruttivismo» sociale e politico alla base di tutto il progressismo e il radicalismo contemporanei, e La società libera, impareggiabile affresco della società fondata sui principi del liberalismo politico e del liberismo economico. Ho detto che appare significativo il fatto che Mamet abbia abbandonato le sue illusioni liberal grazie a un incontro e a un confronto con le «idee forti» di un grande intellettuale. Si tratta, infatti, di un percorso comune a molti teorici del cosiddetto neoconservatorismo americano, inizialmente, come lui, affascinati dalle sirene progressiste. È un percorso, questo, comprensibile per una società relativamente giovane, come quella americana, animata dalle origini da uno spirito fondante, pragmatico e liberale, così ben descritto nelle suggestive pagine di Alexis De Tocqueville su La democrazia in America.
Meno facile, e meno scontato, è stato ed è il successo delle idee liberali e liberiste in un paese, pur esso giovane, come lItalia nel quale il liberalismo si è presentato con caratteri, in particolare per quanto riguarda il rapporto con lo Stato, diversi, ideologici, legati alleredità della filosofia idealistica di matrice tedesca. La storia del liberalismo italiano risorgimentale e postrisorgimentale si è identificata, infatti, con gli sviluppi della linea speculativa Hegel-Spaventa-De Sanctis che giunge fino a Gentile e, attraverso Gentile, si spinge fino a Gramsci. Non è un caso che, poi, uno dei numi del liberalismo italiano, Piero Gobetti, autore di un testo celebre e celebrato, La rivoluzione liberale, abbia potuto parlare di Marx come del «più grande liberale del mondo moderno» e abbia potuto presentare i consigli operai come una forma di liberazione dal basso. Nelluso del termine «liberale» da parte dellintellettuale torinese cera una ambiguità, rimasta tale nei suoi epigoni, a cominciare da Norberto Bobbio, i quali, sotto forma di gramsci-azionismo, hanno egemonizzato la cultura italiana del secondo dopoguerra. E lo hanno fatto al punto da rendere difficile e tardiva la recezione di significativi filoni di pensiero liberali e anticomunisti: si pensi, per fare un solo esempio, che La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper, così vicino e complementare a von Hayek cominciò a circolare in Italia solo sul finire degli anni Sessanta.
Molte cose sono cambiate. Cè da sperare che il saggio di David Mamet dia una nuova scossa.
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