Ne è passato di tempo da quando Samuel Eto'o rifilava un ceffone al suo allenatore del Maiorca Luis Aragones, reo di averlo sostituito, oppure quando dopo aver vinto lo scudetto col Barcellona, ai danni del Real, urlava al microfono come un invasato «Madrid cabron, saluda al campeon!». Peccati di gioventù, roba che non scandalizza guardando l'orticello di casa nostra dove certamente Cassano o Balotelli non sfoderano atteggiamenti oxfordiani. Però Samuel Eto'o negli anni si è trasformato, è maturato, si è messo sulle spalle le responsabilità del centravanti che non verrà assassinato all'imbrunire, come avrebbe scritto un catalano doc come Montalban.
L'Eto'o che solleva le Champions, che vince la Liga o che ammutolisce Stamford Bridge e il suo rivale storico Drogba con il morso velenoso di un mamba, è ormai l'icona del calcio di Madre Africa. A pochi mesi dal grande evento iridato, un intero continente attende di riabbracciare il figliolo diventato prodigo e simbolo dell'Unicef. Eto'o è un fenomeno mediatico che non si cristallizza a Yaoundè e dintorni, ma che fa presa sul terzo mondo. Figlio di una terra povera che lui ha reso nobile con un pallone tra i piedi.
Facile a questo punto l'accostamento con i campioni del passato del continente nero. Dal connazionale Roger Milla al ghanese Abedi Pelé, passando per l'immenso George Weah. L'interista si è assicurato un posto nell'olimpo dei pochi eletti nei quali l'Africa si è sempre identificata. In Camerun già oggi è più amato di Milla. Ai mondiali di Italia 90, quando il vetusto Roger fece il miracolo trascinando i Leoni Indomabili a un passo dalle semifinali, la squadra era spaccata in due. C'era il partito di Milla e quello di N'Kono il quale malignava che il centravanti fosse stato convocato dai politici e non dall'allenatore. Samuel Eto'o mette invece tutti d'accordo.
Due anni fa Rigobert Song, capitano di lungo corso e protagonista di una toccata e fuga anche a Salerno, gli consegnò spontaneamente la fascia da leader. Una fettuccia di stoffa che Eto'o indossa con piglio sicuro e un pizzico di benevola arroganza. Ha strapazzato la squadra dopo la fallimentare trasferta angolana in coppa d'Africa, ha chiesto e ottenuto che il tecnico francese Le Guen rimanesse al suo posto nonostante la volontà della federazione di esonerarlo. Ha preteso il ritorno in squadra di Geremi, uno dei suoi fedelissimi. È leader ma anche parafulmine che si fa carico delle responsabilità sapendo di avere un popolo al suo fianco. Tanto taciturno a Milano, un po' meno a Barcellona dove litigava sovente con Guardiola, quanto invece forbito nel linguaggio e nelle dichiarazioni in Africa. Quando prende dure posizioni contro il lavoro minorile, quando, e in pochi lo sanno, distribuisce centinaia di biglietti delle partite della nazionale ai disabili e alla gente povera di Yaoundé e Douala. Oppure quando chiede alla sua federcalcio di destinare i premi della Coppa del Mondo a chi vive nelle baracche.
Verrebbe da dire che Eto'o è più simile a Weah. Come il liberiano sa gestirsi e non esclude a priori un impegno in politica, dopo aver esaurito il veleno del mamba. Weah ci andò vicino, ma fu tradito dai brogli elettorali. Il Camerun è politicamente più stabile e meno corrotto della Liberia.
Ma proprio Weah, in una recente intervista, ha battezzato Eto'o come ideale presidente della Fifa. «Io un pensierino ce l'avevo fatto, ma Blatter in questo momento è un totem inamovibile. Samuel sta già studiando da presidente, e vedrete che tra una decina d'anni...».
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