Introducendo, nel 1957, il primo volume del suo Diario (già pubblicato a puntate in rivista e che comprendeva gli anni dal '53 al '56), il maggiore scrittore polacco del Novecento, Witold Gombrowicz (1904-1969), scrive: «Il presente volume raccoglie testi del mio diario che sono stati pubblicati in Kultura e i frammenti finora inediti. Ho ancora qualcosa in serbo, ma preferisco che questo materiale - piuttosto privato - non sia incluso in volume, non vorrei espormi a seccature. Forse un'altra volta... Un giorno». I suoi Diari erano quindi la parte di qualcosa che un giorno sarebbe potuta essere pubblicata per intero. In cosa consisteva quel materiale «piuttosto privato», lo veniamo a conoscere per la prima volta in Italia, raccolto nel volume Kronos (Il Saggiatore, a cura di Francesco M. Cataluccio, introduzione di Rita Gombrowicz, traduzione di Irene Salvatori, pagg. 382, euro 32), e comprendiamo la ragione per cui Gombrowicz avesse preferito conservarlo, pure non avendo mai temuto lo scandalo, la provocazione, la polemica proprio lui, che nei libri non si era mai stancato di esprimere il suo talento sarcastico.
Recensendo Ferdydurke, quel primo romanzo del 1937 che aveva mostrato la folle ironia di Gombrowicz (allora poco più che trentenne), ma che pure faceva comprendere la visione che vi era sottesa, l'idea di un infantilismo che muove ogni desiderio e pulsione dell'essere umano, l'amico scrittore Bruno Schulz notava: «L'uomo non sopporta la propria nudità, non viene in contatto né con se stesso né con i suoi simili se non per mezzo di forme, stilemi e maschere». Ecco, una maschera fu lo stesso Gombrowicz a indossarla per tutta la vita, anche mentre scriveva i suoi diari pubblici. Una maschera che però rigettava ogni forma di posa da intel
lettuale. Proprio a Schulz, in una lettera del 1936, aveva scritto provocatoriamente: «Avrei voluto confrontare Goethe stesso con sua zia, col suo polpaccio avrei voluto, grazie al polpaccio, distruggere la vostra faccia da scrittore!».
Eppure, in quella prima recensione, Schulz aveva visto bene: «l'uomo non sopporta la propria nudità». Ed era quella nudità che probabilmente aveva fatto tenere nascoste a Gombrowicz le carte di Kronos.
La cosa migliore sarebbe leggere Kronos parallelamente al Diario, del quale segue la stessa cronologia. Dopo avere letto gli stralci che qui pubblichiamo, risalenti agli anni 1964 e 1965, bisognerebbe confrontarli con quanto scriveva pubblicamente per comprendere come i significati vengano a incastrarsi e solidificarsi. Nel 1964 così ragionava pubblicamente: «La vita non conosce che le categorie del dolore e del piacere. Per noi il mondo esiste solo come possibilità di dolore o di piacere. Finché la coscienza non è coscienza del dolore o del piacere, per noi non ha alcun significato». E ancora, nel 1965: «Sto forse già entrando nella fase finale, quella in cui ancora si vive, ma ormai solo di cose morte? Le opere che ho scritto, le cose che ho fatto in passato mi rendono tuttora vivo agli occhi dei miei visitatori - mentre nel presente vacillo, muoio». Bastano questi due passaggi a farci meglio intuire come gli stati della propria malattia (era già scampato a un infarto e un'insufficienza respiratoria lo aveva portato a desiderare il suicidio), che metodicamente registra in Kronos, siano anche la miccia che accende poi un ragionamento, un pensiero intorno alla vita e alla morte.
Va aggiunto che Gombrowicz in questi anni risiede a Vence, in Francia, dopo che ne aveva passati ventiquattro in esilio volontario in Argentina: «Ero partito per l'Argentina per puro caso, solo per due settimane: se, in quelle due settimane, il capriccio del fato non avesse fatto scoppiare la guerra, sarei tornato in Polonia», confessa in una pagina del Diario nel 1964; eppure, quando gli danno la possibilità di prendere una nave che lo riporterà in Europa, anche se non proprio in Polonia, sceglie di restare in Sud America, dove scriverà tutti i suoi romanzi: Trans-Atlantico (1957), Pornografia (1960), Cosmo (ultimato in Francia e stampato poi nel 1965), quasi che in quei luoghi avesse finalmente trovato lo scenario ideale che gli avrebbe consentito di vivere fino in fondo (e non solo di scriverla) quella sua intuizione sull'infantilità umana.
Gombrowicz cominciò a redigere «il Diario e il suo doppio» (come li chiama Cataluccio nella postfazione) nello stesso momento, tra il 52 e il '53. Gli anni precedenti (a partire dal 22) in Kronos sono lo sforzo dell'autore di ricordare il proprio passato, fissarlo in alcuni avvenimenti o persone o luoghi. Nulla a che fare con il lavoro sulla memoria di Proust (che pure Gombrowicz appunta più volte che sta leggendo). La scrittura, in Kronos, è addirittura didascalica, priva di una qualsiasi forma di racconto e affabulazione, e senza il ricco e dettagliato apparato di note, difficilmente riusciremo a ricostruire la logica - la geometria - che si cela dietro queste pagine.
Rita, moglie e compagna dei suoi ultimi anni, nell'introduzione racconta come pochi mesi prima di morire Witold l'avesse pregata di salvare, delle sue carte, il manoscritto di questo diario inedito. Ma per quale ragione Gombrowicz gli dava tanta importanza? Cosa aggiungeva di tanto rilevante al suo Diario pubblico?
Ci sembra di capire che da una parte, con i Diari, costruisce il suo mito (e il Diario, scritto fino a poco tempo prima di morire, nel luglio del 1969, è davvero il suo capolavoro, per come riesce a connettere l'esperienza e il pensiero, per come lascia agire il pensiero in una forma di esperienza quotidiana), dall'altra, con Kronos, costruisce la sua biografia. Ma anche questo non basterebbe a giustificarne l'importanza se non aggiungessimo che tutto quanto abbiamo saputo della vita, dei pensieri e dei desideri di Gombrowicz (la sua omosessualità e la sua ossessione per la giovinezza e i «giovinetti», ad esempio) dopo la sua morte e attraverso la lettura dei suoi romanzi, egli lo aveva già scritto senza la maschera letteraria. Ecco un campionario dei suoi pensieri ricorrenti: le preoccupazioni (per la propria salute, per la diffusione delle sue opere, per la situazione finanziaria), le paure, le disperazioni, così come i piaceri, le numerose avventure sessuali, le gioie e la noia. Qui anche gli umori sono fatti concreti, oggetti sensibili.
Kronos (il dio del tempo) è la costruzione, giorno dopo giorno, della coscienza di Witold. Quella coscienza era la materia viva necessaria all'atto creativo, qualcosa che segretamente sarebbe divenuto, in altra sede, letteratura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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