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Google condannata per video choc, proteste Usa

Condannati a sei mesi tre dirigenti per diffamazione e violazione della privacy: non hanno impedito la pubblicazione di un video su un minore disabile insultato e picchiato. Proteste da Moutain View, richiamo ufficiale dell'ambasciata Usa. E Apple censura le applicazioni sexy

Milano - Condannata Google. Era una sentenza attesa con grande interesse nel mondo di Internet: perché il processo ai dirigenti di Google davanti al tribunale di Milano, per il video di un ragazzo autistico messo in rete dai suoi compagni di scuola, investiva in pieno il tema complesso e delicato della responsabilità dei grandi motori di ricerca e i provider, per ciò che miliardi di utenti scaricano nel web. E la sentenza dice che i non possono chiamarsi fuori da questa responsabilità: i manager di Google vengono condannati a sei mesi di carcere per concorso nella violazione della privacy del ragazzo.

Niente diffamazione E' solo una condanna a metà, perché gli imputati vengono assolti dall'accusa più grave, quella di diffamazione. Ma il principio della responsabilità, cioè del dovere di controllare in qualche modo ciò che viene messo in rete, è sancito. Bisognerà attendere tre mesi, quado il giudice Magi depositerà le motivazioni, per capire come si sia arrivati ad affermare la responsabilità di Google per la violazione della privacy, ma non per la diffamazione. Su questa seconda accusa, la formula di assoluzione è inconsueta. Vuol dire, probabilmente, che se la Procura avesse inquadrato diversamente i fatti sarebbe arrivata una condanna anche per l'accusa più grave.

La difesa Nel corso del processo le difese di Google avevano sostenuto che non esiste una possibilità concreta del motore di ricerca per vigilare su tutto quel che accade in rete, e che l'uico controllo possibile sta nel formulario elettronico che chi scarica i video deve riempire per effettuare l'upload: la formuletta per cui si garantisce che il video viene caricato con il consenso degli interessati. Ma la sentenza di oggi stabilisce che non basta quel per sollevare i Signori della rete dalle loro responsabilità.

Google attacca "Un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito internet". Così il portavoce di Google, Marco Pancini, commenta la sentenza di condanna di 3 tra dirigenti ed ex dirigenti del portale per violazione della privacy. Google ha preannunciato l’impugnazione della sentenza, definita "dir poco sorprendente, dal momento che i nostri colleghi non hanno avuto nulla a che fare con il video in questione, poiché non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato". Secondo il portavoce i tre dirigenti sono stati dichiarati "penalmente responsabili per attività illecite commesse da terzi", pur avendo "dato prova di coraggio e dignità, poiché il fatto stesso di essere stati sottoposti a giudizio è eccessivo". Secondo i responsabili del motore di ricerca, la responsabilità è di chi carica il video in rete. "Se questo principio viene meno, cade la possibilità di offrire servizi su internet" conclude Pancini.

L'ambasciata Usa "Siamo negativamente colpiti dalla odierna decisione di condanna di alcuni dirigenti della Google per la pubblicazione di un video dai contenuti offensivi". Lo sottolinea l’ambasciatore americano a Roma, David Thorne, in riferimento alla sentenza del tribunale di Milano. "Pur riconoscendo - spiega nella nota - la natura biasimevole del materiale, non siamo d’accordo sul fatto che la responsabilità preventiva dei contenuti caricati dagli utenti ricada sugli Internet service provider". Poi l'accusa: "Il principio fondamentale della libertà di Internet è vitale per le democrazie che riconoscono il valore della libertà di espressione e viene tutelato da quanti hanno a cuore tale valore". Thorne ricorda che "il segretario di Stato Hillary Clinton lo scorso 21 gennaio ha affermato con chiarezza che internet libero è un diritto umano inalienabile che va tutelato nelle società libere.

In tutte le nazioni è necessario prestare grande attenzione agli abusi; tuttavia, eventuale materiale offensivo non deve diventare una scusa per violare questo diritto fondamentale".

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