Google, i giudici: "La Rete non è una prateria sconfinata dove tutto è permesso"

Nella sentenza di condanna dei tre dirigenti Google si legge che "non esiste la sconfinata prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato. Esistono invece obblighi che, se non rispettati, conducono al riconoscimento di una penale responsabilità"

Google, i giudici: "La Rete 
non è una prateria sconfinata 
dove tutto è permesso"

Milano - La rete è il simbolo della libertà. Ma esistono dei limiti invalicabili anche per internet e non si può parlare di censura. A ribadirlo, nelle motivazioni della sentenza di condanna di tre dirigenti Google per un video sui disabili, è il giudice milanese Oscar Magi. "Non esiste la sconfinata prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web", spiega il giudice. "Esistono invece leggi che codificano comportamenti che creano degli obblighi che ove non rispettati conducono al riconoscimento di una penale responsabilità".

Violazione privacy I dirigenti di Google erano stati condannati per la violazione della privacy in riferimento all’immissione in rete di un video dove uno studente autistico in una scuola di Torino nel maggio del 2006 veniva vessato da altri ragazzi. Purtroppo quel video risultaò uno dei più cliccati della rete. I tre dirigenti di Google e un quarto collega furono invece assolti dall’accusa di diffamazione. Il filmato era stato realizzato dagli studenti nel maggio 2006 e da loro caricato su Google Video l’8 settembre, dove rimase, cliccatissimo, per circa due mesi.

Reato commesso anche negli Usa "Non vi è dubbio - prosegue il giudice - che perlomeno parte del trattamento dei dati immessi a Torino sia avvenuto fuori dall’Italia, in particolare negli Usa, luogo dove hanno indubitabilmente sede i server (cioè le macchine che trattano e immagazzinano i dati) di proprietà di Google Inc.".

Critiche ambasciata Usa L’inchiesta a carico dei dirigenti di Google è stata coordinata dai pm di Milano Alfredo Robledo

e Francesco Cajani. La condanna dei tre dirigenti era stata criticata duramente dall’ambasciata Usa a Roma, che aveva sostenuto che "il principio fondamentale della libertà di internet è vitale per le democrazie". 

 

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