La finanza e lenergia sembrano ogni giorno di più gli unici strumenti capaci di governare leconomia internazionale. Una percezione drammatica che, prima ancora di colpire lopinione pubblica, sembra ipnotizzare i governi, sempre più immobili e attoniti. Percezione in parte vera, che porta però a conclusioni sbagliate, prima fra tutte quella più volte citata dagli economisti secondo la quale i governi nulla possono per garantire una crescita stabile e non inflazionistica.
Insomma, il ciclo economico internazionale nella stagione della globalizzazione sarebbe ingovernabile e il suo dominus sarebbe solo il dio mercato. Così non è, e se fosse, non dovrebbe essere. Vediamo, ad esempio, la grande questione energetica con limpennata del prezzo del petrolio. Negli ultimi sei mesi il prezzo del barile è aumentato del 39%, mentre il dollaro si è svalutato rispetto alleuro dell11,6%. In euro, infatti, il prezzo del barile è aumentato «solo» del 27%. Alla pompa ogni litro, sempre nellultimo semestre (dati Shell), è aumentato del 4,4 per cento. Siccome dal barile si traggono molti litri, già in questo passaggio cè un incremento maggiore di quello che dovrebbe esserci in base allaumento del prezzo in euro, e sarebbe ora che il ministero dellIndustria attivasse controlli più approfonditi.
Ma, al di là di questo probabile illecito lucro sullaumento del prezzo, il governo potrebbe intervenire riducendo proporzionalmente il peso delle tasse (le cosiddette accise) su ogni litro di benzina, sino al punto da tener fermo il prezzo alla pompa. Non sarebbe un atto dirigistico, ma solo luso appropriato di uno strumento fiscale che il governo ha nelle sue mani grazie a un emendamento da noi stessi proposto e approvato nellultima Finanziaria. Se il governo non lo usa è solo perché più aumenta il prezzo del barile, e quindi quello alla pompa, più guadagna grazie al conseguente aumento del gettito dIva. Tenere fermo con strumenti fiscali il prezzo del petrolio significa inoltre tenere fermi altri prezzi da esso condizionati, primo fra tutti quello dellelettricità, con riflessi positivi sulleconomia reale. Un forte aumento della bolletta energetica, infatti, spinge in alto linflazione e riduce i consumi. Due effetti velenosi che riducono il potere di acquisto dei cittadini e rallentano pericolosamente la già fragile crescita economica del Paese (le migliori previsioni danno in Italia per questanno una crescita allo 0,6-07 per cento).
Ciò che si può fare sulla benzina lo si può fare anche su alcune materie prime come il grano, il cui aumento turbolento di questi ultimi mesi sta facendo crescere in maniera abnorme i prezzi di alcuni beni primari, e quindi linflazione. In economia, come in politica, tutto si tiene. Agli effetti degli aumenti delle materie prime si aggiungono, infatti, quelli della stretta creditizia, seguita alla crisi dei mutui americani che in misura ridotta si sta estendendo allUe. Minore credito, aumento dei costi di produzione, minori consumi sono il tridente che fa scivolare verso il basso la crescita economica con tutto quel che ne consegue sulloccupazione. Anche qui, però, il governo può intervenire subito defiscalizzando il lavoro straordinario, aumentando le detrazioni sui redditi più bassi e agevolando con norme fiscali a tempo gli investimenti privati, oltre che accelerare quelli pubblici. Un insieme di norme di questo genere contrasterebbe in maniera efficace quellintreccio perverso della crisi dei mutui e dellaumento delle materie prime che sono alla base dellattuale congiuntura negativa. Sullo sfondo non vediamo una recessione mondiale perché Cina, India e Brasile continuano a crescere con tassi elevati, così come lo stesso commercio mondiale. Questo, naturalmente, non significa che dobbiamo stare con le mani in mano. Le Banche centrali stanno facendo il proprio mestiere, in particolare la Banca Centrale europea. È tempo che anche i governi, a cominciare dal nostro, facciano la propria parte. Prima lo fanno, naturalmente, e meglio è.
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