Un governo ammalato di decadenza

Non necessariamente l’immagine che evoca la parola «decadenza» è negativa. Se dico che una donna ha un’aria decadente, posso anche sottolinearne il fascino d’altri tempi, un po’ démodé, un po’ aristocratico, pur senza aristocrazia. È quell’atmosfera che la cultura del cosiddetto «decadentismo» ha diffuso dalla Francia in tutta Europa negli ultimi vent’anni dell’Ottocento, pervasa di raffinatezza e di eleganza, attenta nell’accogliere un ideale estenuato di bellezza, disposta all’ascolto di un Oriente misterioso e sensuale.
Oggi sento e leggo che il governo Prodi è in piena decadenza. Che non si tratti di un colto richiamo a quel sentimento letterario, basta un’occhiata alla faccia del presidente del Consiglio per capirlo. Si deve far riferimento a un’altra idea di decadenza, quella che introduce nella nostra cultura il filosofo Nietzsche, stabilendone una precisa analogia con la malattia. Naturalmente auguro a Prodi tutta la salute di questo mondo, ma la tesi del filosofo è molto interessante per capire come osservare la crisi attuale. Ecco, per esempio, sostenere che il governo, la politica del governo, sia in crisi è sbagliato. «Crisi», nella sua accezione etimologica originaria, greca e poi latina, significa decisione, scelta, quindi una situazione che può essere di per sé positiva, perché in attesa di un nuovo equilibrio.
La decadenza del governo Prodi è tale perché c’è malattia. Cosa sostiene, infatti, il filosofo Nietzsche? Due esempi. La decadenza è come un corpo malato in cui le sue membra, pur funzionando, non rispondono più a un comando che le coordina: le gambe vanno per conto loro e le braccia fanno movimenti del tutto scomposti rispetto alle gambe, e così pure la testa e il resto del corpo.
L’altro esempio è il libro. La decadenza è come un libro che, pur essendo intero, ha le pagine che non corrispondono tra loro, i capitoli che non hanno nessuna conseguenza l’uno con l’altro, perfino le righe della stessa pagina non si riferiscono al senso di un periodo. Nella decadenza l’insieme appare unito, in realtà l’unità è il risultato di una totale disgregazione delle parti rispetto al tutto. Il tempo della decadenza è crudele per il popolo, perché lo illude e gli sottrae vitalità. L’immagine è quella della superficie ghiacciata di un lago: apparentemente solida e compatta, in realtà tanto sottile da ingannare la gente che, camminandoci sopra fiduciosa, la spezza finendo nell’acqua.
Quest’idea riflette bene l’immagine del nostro governo. È un corpo in decadenza, malato, le cui parti vanno ognuna per conto proprio, non c’è organicità, non c’è coordinamento. La decadenza è contagiosa: l’antipolitica è l’esito immediato di un’infezione, che insorge perché non c’è visione d’insieme, non c’è progettualità, manca la speranza. Il governo non ha forza propositiva, così si smembra, ogni sua parte, ogni suo gruppo politico, pensa per sé, procede con la propria ottica. La sua inefficienza è prima di tutto un inganno per la gente che ha bisogno di una risposta ai suoi problemi e invece riceve una serie di risposte contraddittorie che si annullano vicendevolmente.
Un governo decadente trascina il Paese nella decadenza. Ma la malattia, nei suoi effetti così devastanti, è tuttavia curabile con medicine sperimentate nel tempo. Due sono le migliori, i cui risultati sono infallibili: visione progettuale e speranza.
Tutto questo discutere della casta, questo attorcigliarci intorno ai guasti di politici interessati soltanto ai loro interessi, pronti a sfruttare l’occasione, anche la più pezzente, dipende dal fatto che si crede di sopravvivere al decadimento con scappatoie furbesche, con ricettine da quattro soldi.

Si esce dalla decadenza dando fiducia ai giovani e a chi sa ancora vivere con anima, con energia ed entusiasmo giovanile: loro sanno ancora sperare, non hanno paura di sognare e di impegnarsi a trasformare i sogni in idee e le idee in realtà.
Stefano Zecchi

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