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Promesse e pochi contenuti: cento giorni di Conte bis

Il secondo governo di Giuseppe Conte ha raggiunto un traguardo importante: i suoi primi 100 giorni. Un record per un premier che prima del 2018 non aveva mai fatto politica attiva

Promesse e pochi contenuti: cento giorni di Conte bis

Il secondo governo di Giuseppe Conte ha raggiunto un traguardo importante: i suoi primi 100 giorni. Un record per un premier che prima del 2018 non aveva mai fatto politica attiva e che ora può ‘vantarsi’ d’essere l’unico ad aver mantenuto la poltrona di Palazzo Chigi, pur avendo cambiato con gran disinvoltura alleato di governo nel giro di un mese.

La nascita del governo Conte bis

Per passare dalla Lega al centrosinistra è bastato cambiare “Matteo”. Da Salvini a Renzi. Il discorso tenuto dal leader del Carroccio dalla spiaggia del Papete ha innescato una crisi di governo che era già nell’aria dopo il voto favorevole degli eurodeputati grillini alla popolare Ursula Von Der Leyen. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la mozione presentata dal M5S contro la Tav. Salvini, uscendo dal governo ai primi d’agosto, era convinto di ottenere lo scioglimento delle Camere entro Ferragosto e le conseguenti elezioni anticipate. A salvare l’avvocato del popolo’, rinominato ‘l’elevato’ da Beppe Grillo, è arrivato provvidenzialmente Renzi che, con una delle sue classiche giravolte a U, ha aperto alla nascita dell’attuale governo giallorosso. I più titubanti sulla riuscita di una simile operazione erano Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio che, ancora oggi, hanno un dialogo alquanto misero. Il capo politico del M5S tutto avrebbe voluto fuorché andare al governo col ‘partito di Bibbiano’ e, per digerire il boccone amaro di non essere più vicepremier, è stato ricompensato con la poltrona di ministro degli Esteri. Da Bruxelles, tutti entusiasti di essersi liberati dell’antieuropeista Salvini, sono arrivate promesse di flessibilità e la poltrona di Commissario agli Affari economici per Paolo Gentiloni.

Il prefetto Luciana Lamorgese è andata a ricoprire il ruolo di ministro degli Interni, aprendo i porti alle Ong (vedi Alan Kurdi e Open Arms) dopo aver stipulato un accordo sulle ricollocazioni dei migranti con Malta, Francia e Germania. Accordo che, a dispetto dei numeri che ha snocciolato di recente il titolare del Viminale, non ha dato i frutti sperati. Sul versante immigrazione, poi, il Pd appare insofferente perché i decreti Sicurezza di Salvini, almeno formalmente, non sono ancora stati modificati e non appena Zingaretti ha provato a parlare di “ius soli” Di Maio lo ha praticamente zittito.

Le Regionali in Emilia-Romagna e l'incognita Italia Viva

In tali condizioni appare assai difficile che dalla sgangherata maggioranza giallorossa possa nascere un’alleanza di centrosinistra stabile. Anzi proprio per scongiurare un’eventualità di questo tipo, a metà settembre, Renzi ha fondato Italia Viva, la quarta gamba di questo traballante governo giallorosso, composto da M5S, Pd, LeU e, appunto, dai renziani. Che non sia un’alleanza ben riuscita lo si è visto con le Regionali in Umbria dove la candidata leghista Donatella Tesei ha battuto con 20 punti di distacco il candidato ‘civico’ Vincenzo Bianconi, che per l’occasione ha avuto il sostegno sia del M5S sia del Pd, come testimonia l’ormai nota (e sciagurata) foto di Narni. Chiusa la parentesi elettorale umbra, si è aperto il fronte emiliano-romagnolo con Luigi Di Maio contrarissimo a riproporre un’alleanza organica col Pd a sostegno del presidente uscente Stefano Bonaccini che il 26 gennaio prossima rischia di essere battuto dalla leghista Lucia Borgonzoni. Qui e in Calabria i pentastellati correranno da soli.

È ovvio, però, che una sconfitta in Emilia-Romagna potrebbe segnare la parola fine su un governo estremamente litigioso. Sembra passato un secolo eppure, in occasione della Leopolda, Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia Viva alla Camera si è scagliata contro il Pd definendolo il “partito delle tasse”. Solo dopo lunghe trattative, infatti, le tasse sulle auto aziendali e sulla plastica sono state accantonate, ma il governo nato per sterilizzare l’aumento dell’Iva, in realtà, ha aumentato di nuovo una pressione fiscale già elevatissima.

Le fuoriuscite dal M5S e il taglio dei parlamentari

Sono, poi, ancora irrisolte le crisi aziendali dell’Alitalia e dell’Ilva di Taranto, ma l’ultima ‘bomba’ che ha scombussolato il governo è stata la discussione sulla riforma del Mes, il meccanismo di stabilità europeo che ha visto Salvini accusare Conte di “tradimento”. Di Maio, invece, ha definito “venduti” i tre senatori (Stefano Lucidi, Ugo Grassi e Francesco Urraro) che, dopo aver votato contro la risoluzione della maggioranza, sono passati con la Lega. La sopravvivenza del governo, perciò, dipenderà dalle prossime ‘transumanze’ di quei parlamentari che sono disposti a tutto pur di far proseguire la legislatura. Una legislatura il cui destino è legato anche all’entrata in vigore del taglio dei parlamentari. Tale riforma, approvata in settembre, scatterà ufficialmente il prossimo 12 gennaio, a meno che non si apra una crisi di governo tale da determinare lo scioglimento anticipato delle urne. In questo caso, i partiti eleggerebbero 945 parlamentari anziché i 600 previsti dalla riforma. Ben 345 seggi che verrebbero ‘salvati’ dal ritorno alle urne.

Solo il tempo saprà dirci se prevarrà la volontà dei deputati e dei senatori di restare nei meandri del ‘Palazzo’ il più a lungo possibile o quella dei partiti come la Lega di vincere le elezioni, ma anche quella di Pd e M5S di liberarsi di un’alleanza scomoda per entrambi.

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