Il governo dei militari nell'epoca Bolsonaro E il presidente rafforza l'asse con gli Usa

Trump pronto ad appoggiare l'ingresso nella Nato e a installare una base americana

Paolo Manzo

Brasilia

È una città militarizzata come non l'avevamo mai vista la Brasilia che il 6 settembre scorso ha ospitato per la prima volta Jair Bolsonaro da «presidente eletto», come qui definiscono chi vince le elezioni prima del suo insediamento, il 1 gennaio 2019. A dispetto delle dichiarazioni bellicose, la sinistra brasiliana sconfitta alle urne oramai mobilita meno popolo della destra di Bolsonaro che, invece, ha già in programma una manifestazione nazionale il prossimo 25 novembre, «una marcia per invocare che l'insegnamento ideologico sparisca dalle scuole», spiega a Il Giornale l'avvocato Bia Kicis, deputata neoeletta tra le file del Partito repubblicano progressista, che nonostante il nome appoggia Bolsonaro.

Tesa e con più forze dell'ordine che manifestanti per strada. Così appare questa capitale inventata nel mezzo del nulla oltre mezzo secolo fa dall'intuizione di un presidente visionario come Joselino Kubichek, un architetto comunista come Oscar Niemeyer e un urbanista del calibro di Lucio Costa che, ironia della sorte, dopo aver disegnato il piano pilota della futura capitale progettò anche Barra de Tijuca, il quartiere chic di Rio dove vive da sempre Bolsonaro. «Farà bene, benissimo, è il primo presidente eletto democraticamente di destra, venga a prendersi un caffè nel Club militare che lì ne possiamo parlare con calma» mi invita il generale due stelle e baffi alla Kit Carson, Paulo Chagas, candidato non eletto alla governatura di Brasilia che incontro nel bar di Rái, una scatenata attivista pro Bolsonaro.

Tento di entrare alla Camera mentre il presidente eletto fa il suo primo discorso in cui, promette come prima cosa che «il rispetto della Costituzione» sarà la sua «bussola». Parole necessarie dopo i troppi discorsi improntati al furore della campagna elettorale, compreso uno in cui Bolsonaro aveva definito «la parte marcia della Chiesa cattolica» il Cimi, ovvero il Consiglio dei missionari che in Brasile si occupa di indios. Funzionari della Polizia legislativa mi impediscono, gentili ma fermi, l'accesso in Parlamento perché, «per decisione dall'alto (il presidente del Senato Eunicio Oliveira, ndr) alla stampa non è consentito presenziare».

Al di là del difficile rapporto con i media, in primis quelli internazionali, con Bolsonaro cambia in modo radicale soprattutto la politica estera del gigante sudamericano. L'asse con gli Stati Uniti di Trump infatti si rafforza dal punto di vista militare. Brasilia ha già avviato negoziati «per installare una base militare Usa nel Nord-est, vicino a Fortaleza», oltre che a firmare «un accordo per la ricostruzione e l'uso della base spaziale di Alcantara», rivela il solitamente bene informato portale di giornalismo investigativo O Antagonista. Ancora più importante l'annuncio fatto da Thomas Shannon, già ambasciatore statunitense nel paese del samba, vicino ad Obama ma mantenuto al suo posto da Trump, in merito all'appoggio degli Usa affinché il Brasile entri nella Nato, come già fatto quest'anno dalla Colombia.

In un primo momento Bolsonaro aveva anche assicurato lo spostamento dell'ambasciata del Brasile da Tel Aviv a Gerusalemme, definendolo una «questione di vita o di morte», una promessa che Netanyahu aveva festeggiato su Twitter. L'annuncio che imitava l'analoga decisione di Trump di qualche mese prima ha però provocato subito le reazioni dure di paesi che sono pedine fondamentali nei rapporti atlantici, in primis dell'Egitto, che ha cancellato seduta stante una visita al Cairo programmata da tempo dell'attuale ministro degli Esteri verde-oro, Aloysio Nunes Ferreira. Bolsonaro è stato allora costretto a fare un dietrofront, smentendo personalmente «qualsiasi ipotesi di boicottaggio commerciale» che oggi sarebbe «assolutamente senza motivo visto che il Brasile non ha deciso nessuna modifica in merito alla sua ambasciata in Israele».

Altro cambiamento paventato da Bolsonaro è stata la rottura delle relazioni diplomatiche con la dittatura cubana, relazioni che erano state carnali durante le presidenze di Dilma Rousseff e, prima ancora, di Lula. Dopo la denuncia per bocca dell'ambasciatrice di Trump al Palazzo di Vetro, «Nikki» Haley, che «la 27esima condanna Onu dell'embargo contro Cuba non aiuta a risolvere neanche un problema dei cubani, né aggiunge un grammo di libertà a un singolo cubano, né libera un solo prigioniero politico nell'isola caraibica», Bolsonaro ha infatti fatto sapere che su questa stessa linea si muoverà anche il Brasile. Come? Come da lui stesso promesso più volte in campagna elettorale rispedendo all'Avana i medici cubani usati da Dilma e Lula come metodo per finanziare una dittatura castrista alla ricerca di qualcuno che sostituisse gli aiuti in calo dal Venezuela bolivariano, sempre più alla fame.

Sul fronte interno, invece, con Bolsonaro i militari tornano ad avere una centralità sconosciuta dai tempi della dittatura, tanto che parlare di «governo dei generali che mantengono sotto tutela il presidente eletto», come ci rivela una fonte dell'intelligence verde-oro di Brasilia, «è esattamente quanto sta succedendo». Lo dimostra la scelta di aver messo come vicepresidente dell'esuberante generale Hamilton Mourão o come testa pensante da tenere il più vicino possibile a Bolsonaro per contenere le sue «sparate» il generale Augusto Heleno, che invece di fare il ministero della Difesa è andato al Gsi, il gabinetto per la security istituzionale.

Altri militari saranno annunciati nei prossimi giorni in ministeri chiave, a cominciare da quello delle infrastrutture. Senza contare la scelta come superministro della Giustizia e della Sicurezza Pubblica di Sergio Moro, il giudice della Mani Pulite brasiliana. «Avrà pieni poteri in materia di lotta al crimine transnazionale e, per questo, è a rischio» ci assicura una fonte d'intelligence.

Oltre alle critiche di imparzialità rivolte a Moro dal Pt - il partito di quel Lula che lo stesso giudice aveva condannato in primo grado - anche il Pcc, la principale organizzazione criminale del Brasile, avrebbe nel mirino il superministro che si ispira al nostro Giovanni Falcone.

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